13 ott 2013

LA TERRIBILE STORIA DI ANTIGONE

Nikiphoros LYTRAS (1832 - 1904) -  Antigone in front of the dead Polynices (1865)
National Gallery of Greece-Alexandros Soutzos Museum

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12 ott 2013

L'ALLEGRA COMPAGNIA


Photo by Pierperrone

L'ALLEGRA COMPAGNIA
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REPUBBLICA INDIPENDENTE

Fabrizio, io e te dobbiam parlare.
E anche tu, Giorgio, perchè non ti fai più sentire?
E... e tu, Josè? Perchè non mi scrivi più?
Stai sempre lì, con Franz e Cesare e Fernando...
Mi pare di esser solo, certe volte...
La tua voce, Jim, e il tuo colore, Pablo...
Oddìo, come posso viver ormai così?
Vorrei parlarvi, avervi al fianco, uscir con voi...
Scherzare un poco e cazzaggiare, si cazzeggiare insieme un poco.
Come non abbiamo fatto mai.
Non ci siam potuti incontrare ancora tutti insieme.
E anche con tutti gli altri amici che qui non sto a ricordare...
Certo, vivete tutti in casa mia...
Con Renè e Pablo e Cònstantin e Federico...
Si, vivete tutti nella mia grande casa.
Allegra, spesso, aperta, libera, spaziosa...
A volte è troppo piccola, si, troppo piccola anche per me soltanto...
Ma con voi, certo, io sto bene. Il tempo mai non muore...
Non ci siam potuti mai incontrare tutti insieme...
Un gran ricevimento, una festa, un happening...
Una rimpatriata, un bicchier di vino rosso, il sugo grasso e il fritto unto...
Oh, si, come dici, Syd? Una bella sigaretta?
E perchè no? Accavallando le gambe sul tavolino buono, là, in salotto.
Oh, come dev'esser  bello avervi tutti quanti insieme, un giorno...
Quando mi chiamerete io forse esiterò e non correrò subito, lì, da voi.
Perderò tempo, ancora, qui, a salutare gli altri amici, i cari, i passanti ignari...
Si volteranno un poco, curiosando, poi gireranno, certo, dall'altro lato il capo...
Ed io un poco tremerò, come scosso da un freddo vento...
Un soffio gelido mi darà la spinta e cadrò... planando lentamente...
E poi piano a voi mi volgerò e salutando a questa parte m'incamminerò con passo incerto.
Come dici, Pier Paolo, amico caro? Mi chiedi perchè l'esitazione?
Mah, non so, tu mi potresti ben rassicurare. E' che non sono certo assai di niente.
Dibito. Domando. Chiedo. Indago...
Provo a riguardar di là, dal buco che s'è aperto adesso in cielo.
Ma cosa c'è lassù? C'è davvero un gran teatro dove state tutti insieme?
Io vi mescerò il bicchiere, mentre voi discutendo animatamente, deciderete sul mio da farsi?
E se non fosse poi così?
E i cattivi? Tutti quei demòni che ci han rubato il sangue, la pelle e poi la vita, dove son finiti, mai, quei miseri derelitti?
L'han messi laggiù, in fondo, a patire fra le fiamme, le meritate pene dell'Inferno?
E se io non meritassi la vostra agognata compagnia?
Che ne sapete mai, voi, dei miei mille delitti consumati nella vita misera quaggiù?
Delitti di pensiero, d'ignavia, di pigrizia.
Come potreste perdonarmi, mai, voi, ch'avete illustrato, invece, il tempo nostro?
Non c'è memoria in cui non si specchi l'opra vostra.
Perchè mai dovreste far bisboccia con uno come me?
Sol perchè in vita io v'amai?
Generosi, sareste, allora. E in grossa compagnia.
In tanti, infatti, io v'amai. E spesso vi cercai per comprender il senso d'esser vivo.
E voi, allor, mi rispondeste. E' questo che un pò mi dà fiducia.
Se mi rispondeste ieri, perchè non dovreste farlo poi?
Or però salutar vi devo. Ritorno ai casi insulsi dalla vita d'ogni dì.
Un pò di noia, il calar del sabato, la tazza del the bollente che lentamente s'è vuotata...
In cielo, indifferente, lascia la sua scia... un volo immaginario... un sogno... una goccia impertinente
Sono nuvole, bianche e nere. Come noi, passeggian, di passaggio.
Un saluto ancora, cari amici. Vi prego s'aspettarmi.
Sarà bello se vorrete, un dì, accogliermi tra voi.
A me non costa nulla immaginar la vostra compagnia...

11 ott 2013

L'ISOLA DEI VIVI

Arnold Böcklin – Die Lebensinsel -1888 L’ISOLA DEI VIVI
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La belva è lì.

Le fauci spalancate

Affamata. Famelica ed ingorda...

Non si contenta di un pasto.

E' alla ricerca eterna di prede da ghermire.

E' insaziabile.

E spaventoso, il suo aspetto.

Mutevole.

Cangiante.

Un mostro che si nasconde dietro mille travestimenti.

Calmo e pacato, ora, sembra invogliare la carezza.

Pare concedersi con l'intero suo corpo.

Chiede il bacio.

Offre l'amplesso.

Ma in un attimo è la belva.

Nata per soddisfare la sua ferocia sanguinaria.

La bava biancastra, allora, le riempie la bocca.

Profonda e smisurata.

Un tanfo salmastro di morte sale dagli abissi suoi.

Dalle sue viscere nasce l'onda che afferra e sbatte e infine ingoia.

E' il moto permanente che altera e sprofonda, asfissia ed annega....

Alla presa del suo artiglio non si può sfuggire.

Della sua spira che stringe e annienta non si ci si può liberare.

La belva è dappertutto, intorno a noi.

Predilige, è vero, la sconfinata larghezza del mare.

Ma abita anche il nostro infinito cuore .

Là, è a suo agio.

Negli spazi immensi.

Al largo.

Sulla linea degli orizzonti illlimitati.

Là, s'acquatta.

Invisibile e immota.

Silenziosa e attenta.

Sta là.

Mira le sue prede ignare.

In agguato, traditrice, della quiete sorda.

Sa salire nel cielo alto, per colpir di lì, come balenante dardo.

O confondersi con la cieca tenebra.

E affondar la punta acuminata del pugnale nel centro del cuore esatto.

La belva non conosce strazio.

Nè timore, orror, pudore.

La vita succhia, come voluttuosa d'amor semenza, ai più giovani arditi corpi.

Eppur sa anche esser paziente.

E attendere il tempo suo.

I lunghi, lenti, anni.

Il tempo.

I giorni.

Sembra che passi la vita intera, mentre se ne sta in agguato.

Nessun segno avvisa della presenza sua.

Vorace, incombe.

Ciechi, noi, che l'ignoriamo.

Ed ecco poi...

Improvviso...

Il suo planar.

Uno schiocco d'ali.

L'arrivo suo...

Oh, non ci facciamo speranze vane!

La belva arriva per tutti noi!

Non sa distinguer fra cattivi e buoni.

Chi ha fatto il bene massimo è ambìta preda.

La sua ferale trappola per lui è spianata.

Così!

Eppur è cibo grato anche chi s'è cibato del male atroce.

Basta sfogliar le pagine di un giornale vano.

In qualsiasi giorno inutile dell'anno.

Anche oggi.

Per esempio...

S'è preso un mostro umano.

Un cuore agitato e nero, funesto e turbinoso.

L'ha ingoiato tutto intero.

Poi...

La sua caccia ha continuato...

Finchè, laggiù, nel pieno azzurro mare, un branco d'innocenti anime, ha puntato.

Indifferente, infin, s'è presa quel che crudeltà volea.

Erano vagolanti anime nel mondo alla deriva.

Cercavan solamente un  brandello di destino.

Erano corpi in fuga da un presente ladro, baro e assassino.

Ma lei, golosamente, s'è divorata tutto.

Anche il vecchio boia, col duro cuore nero di pietra centenaria, lo sguardo bieco, cieco e indifferente, l'affilata lingua d'acciaio temperato e l'anima perennemente in fuga.

La belva non ha fatto preferenza.

La belva ha un buco in gola e inghiotte ogni vita.

Si, se questo è, a dire il vero, il discorso sulla morte, io pur la via conosco per tentare di fuggirle.

E' una strada che passa per i territori della notte.

Per le ampie plaghe informi del sogno colorato.

Per il vasto mare largo dell'umanissima Esperanza.

E' la rotta che giunge, al fine della notte, nella luminosa isola d'Utòpia.

Lì. E' solo lì. Nella fantasiosa terra amèna. Solamente lì è dato di fuggire, infin, alla mostruosa belva nera.

E se una volta giunti là, altro non saremo che misere carcasse dissolte in povera polvere di cenere, almen nel lungo viaggio avrem cercato la salvezza.

Perchè li, qualsiasi forma prenda la sanguinosa belva, noi sapremo riconoscerla e scorgerne il pericolo. 

Il viaggio è lungo, questo ormai lo so. 

Le mappe, sulle carte, non segnano la rotta.

E anche Utòpia, a volte, sembra di sfuggirci.

Ma solo la fede può salvarci, la fede in quel che siamo.

Povere anime vaganti, sperdute in mezzo al buio, aaggrappate con fede irragionevole al rigido timone di questa fievole speranza.

Ma se davvero non vivessimo così, sforzandoci di raggiungere quell'isola felice, remando fino a sentirsi spezzare i muscoli e le ossa, sbattendo i remi sugli scalmi e schiaffeggiando il mare piatto della vita, se sul serio non vivessimo così, guidati da tanto forte fede, cosa mai significherebbe, allora, VIVER veramente?



P.S.Dedicato a tutti i morti.
A quelli che, innocenti,
han vissuto troppo poco.
E anche agli altri che, 
                       colpevoli,
han vissuto troppo a lungo.

7 ott 2013

POESIA PERFETTA (Fiaba del poeta perfetto)

Photo by Pierperrone


La perfezione.
Si, la perfezione.
La per-fe-zio-ne!

Non è stato facile.
Ma , alfine, è fatta.
E' stata davvero ardua impresa.
Ma, dunque, ora la perfezione è conquistata.

Ho dovuto combattere.
E, per la verità, ho sentito la morte passarmi, a volte, assai vicino.
Porto ancora ferite sul corpo.
E piaghe, dolore, e lacrime.
Lo sforzo.

E' avversario duro.
Sa tutte le armi del combattimento.
Ed i trucchi.
E gl'inganni.
Le tecniche, immorali, della lotta.
Il nascondiglio, l'assalto, il balzo. Fuori, all'improvviso, o il colpo, diretto, al cuore e, il tradimento, vile, alle cieche spalle.

Non conosce paura.
Non teme dolore.
Non sottovaluta gli avversari.
E' amazzone indomita.
Guerriera addestrata dai più grandi maestri.
Scelta dagli dei.
Preferita dagli immortali.

La tenzone è durata mille e mille notti.
Il campo di battaglia porta ancora tutti i segni delle cariche e degli assalti.
Laggiù, dove l'orizzonte sconfina nel mondo iperuranio, si leva ancora la nube immensa della cavalleria al galoppo sfrenato.
S'ode l'eco, ancora, se si tende bene l'orecchio, del tumulto dei cavalli imbizzarriti e degli speroni affondati a sangue nei garretti sfiniti dallo sforzo.
Foreste di lance hanno trafitto l'aria.
Sciami di frecce hanno trapassato il cielo.
Sanguina ancora, la volta.
Agonizzano gli ultimi astri, che mano pietosa di poeta più, curar non può.

Ho costretto, infine, la Musa alla resa.
Prona, ai miei piedi.
Prostrata, pietà m'invoca.
Ma più, compassione, il mio cor d'aver non sa.
Intingo, ormai, la penna mia, nel sangue suo divino.
Fama m'attende.
E gloria.
E il riconoscimento eterno che d'ogni poeta è nascosto vagheggiamento, e sogno.

Preda, nelle mani mie, intimità mi cede.
Non più, pudor riposto, nè vergogne, nè d'amor segreti anfratti.
Musa.
Bellezza pura.
Innocenza, che in peccato, ancor, n'incolse mai.
Per tinger di poesia versi e sfume di color, intingo l'arte mia nel miele dolce suo.
E la voce sua, melodìa,  m'avvolge in amorose spire che il paradiso innanzi m'apron.
Ed io sui Campi Elisi incedo, l'allor dorato della gloria intesto!
Poeta, perfetto artista, conoscitor dei cor profondo, e d'ogni altro agir, umano ardor.

Ecco, ecco, il frutto dell'opra mia, or ch'esse, sacerdotesse, vestali, d'arte, ardente tengon desto l'alto fòco. La poesia perfetta fa sanguinar d'amore di Fiammetta il cor, innocente e retta.
E il color, alfin, la natura stessa inganna, sì che la fredda tempra d'olio steso sulla tela si fa velluto e pelle calda e freme al tatto.
E la canzon d'amor i cor rapisce e incatena amanti e prigioni rende gli occhi che volgon diretti ai versi.
Al modo stesso, tutti l'omini d'inganno restan presi quando musica si diffonde delle parole mie temperate e franche e tinte d'ambra angelica.
A nòva vita è richiamato il figlio morto e finalmente ridon i materni occhi che rosso fòco il dolor rosi avèa.
E la civil d'eroi gloria atterra, nemici, i vinti e di polvere si nutron le reali insegne dei foresti regi scesi a conquistar le calli dell'eterne cittadine inermi.
Anco il martire, i chiodi vince, insanguinati, e carnefici in maledette croci innalza e trafigge il ciel che sacrifico lo fece di vita sua, umile e costumata.
Preghiere smuovon il còre duro dei demònii che il divino nome di dei usurparo senza pietade alcuna per l'umana ispecie e l'attterriro, e la conchiusero in catene.
E perfino tu, insensibil còre del denaro vile, vincitor d'ogni tenzone, ti rivolti in bene quando poesia mia perfetta figlia, nuda e pura, ti volge il sen, e tu, porgendo mendìca mano, resti secco, e ad ella indichi e t'inchini, ammutolito e sperso, come stella ch'al nero ciel indica la rotta...

Ecco.
Perfezione.
Compiuta, ora, è l'opra vera dell'artista.
L'arte assoluta, che nell'aere si perde e in alto vola...
Il mondo ad essa volge l'alma languida ed eterni rende onor e fama e gloria.
Chimerico sogno del poeta ch'il creato pone innanzi ai versi suoi e morte tramuta in eterna vita e beltà in eterno fiore.
Ecco.
Perfezione.
Porgo a te i versi miei.
Compiuta è infine l'opra mia.
Il mondo indifferente segue i casi suoi ed eterni rende, e vani, onor e fama e gloria.
Ad esse, cadùche stelle, volge l'alma languida il creato.
Chimerico sogno in ciel disegna l'alma mia, ch'il creato pone innanzi ai versi miei e morte tramuta in eterna vita e beltà in eterno fiore...

3 ott 2013

LAMPEDUSA

Lampedusa - Isola dei conigli

L’inferno può avere il volto di un paradiso.

Oggi lo so.

Oggi lo sappiamo tutti.

Oggi lo sanno anche quelli che hanno sempre voltato gli occhi dall’altra parte.

Il paradiso brucia fra le fiamme.

Le anime dei dannati bruciano tra le fiamme del paradiso.

E l’inferno non sta da un’altra parte, ma sta qui, nel paradiso!

E’ un’illusione credere che esista un luogo sicuro, dove il peccato non arriva.

Un posto incontaminato.

L’Eden, dove le lingue delle fiamme non giungano a rendere un inferno la vita di ogni giorno.

E’ un inganno il paradiso.

Il blu cobalto non è blu cobalto, ma rosso, rosso di sangue, rosso di fuoco, rosso di  morte.

E il cielo, lassù, non piange.

Resta a guardare.

Indifferente.

Le anime dei dannati che bruciano, quaggiù, tra le fiamme del paradiso, non lo inducono a pietà.

L’azzurro resta azzurro.

Il sereno sereno.

Il giallo giallo.

La bellezza bellezza.

A cosa serve tutto questo spettacolo?

Verrà un giorno in cui si pagherà il conto per aver assistito alle mille e mille repliche di questo osceno spettacolo?

In questa vita, l’unica vita che possiamo vivere, restiamo anche noi a guardare.

Ormai non muoviamo più un muscolo.

Il dito, sul telecomando, si sposta.

Annoiato si posa su un altro tasto.

Ed è lo schermo a cambiare la nostra vita.

Su un altro canale si sta consumando un’apocalisse di sangue che un regista straordinario ha montato con suspence apposta per noi.

E lì troveremo un colpevole.

E potremo condannarlo alle pene dell’inferno.

Noi, avvinti, restiamo a palpitare per quest’apocalisse filmicamente perfetta.

Quella, l’altra, quella che si sta svolgendo al largo, raccapricciante, da qualche parte dell’inferno del mondo, ci genera nausea e fastidio, ed è volgare, sconcia, immorale.

Allora resto sul film.

Con la mano mi carezzo l’anima spaurita.

Lei, annoiata, si distende sul divano.

Nuda, mi provoca.

Spengo.

Il buio, complice, ci culla per tutta la notte.