21 nov 2012

TREGUA


LA TREGUA
Stasera è festa.
Nelle città del regno è stata dichiarata la festa.
Nel suo abito di nero velluto le madri possono scendere in piazza a piangere i loro figli.
I padri possono rimpiangere gli anni del verde odio in cui potevano stringere nelle mani sassi e canne di fucile.
Altro non gli rimane, neanche lacrime negli occhi.
La gola secca.
La lingua muta.
I bambini sono tornati nella polvere, a giocare come soldatini imberbi.
Le bambine ancora non sanno che domani partoriranno figli malati della malattia dell'odio.
Le case hanno mura che non possono nascondere il dolore che vi abita e la morte che vorrebbe entrarvi prepotente.
Stasera è festa.
Nel regno, per le strade, si spara mentre le auto spargono nell'aria i loro fumi velenosi.

Dall'altra parte della linea, la repubblica è in festa anch'essa.
I soldati nelle divise grigioverdi stanno brindando al loro dio assetato di sangue.
I generali tengono la contabilità di morte che i loro ragionieri non sanno più contare.
Sul tavolo dei ministri calici per il brindisi.
Sono stati riempiti con un misto di fiele e sangue.
Il popolo non sa che il demonio si è impossessato delle chiavi delle loro case.
Le loro anime sono state sfrattate.
Nei corpi docili ormai scorre il fuoco della guerra.
E' un'eccitazione che non si spegne con un bacio e che un seno non può saziare.
Occorrono prede recise dal verde stelo.
Terra nutrita di sangue.

Nei tempi antichi era un'unica regione, quel territorio che la linea della frontiera ha reciso come lembi di una ferita.
Umori di morte sgorgano, oggi, dalle polle che ieri diedero vita al fiume.
Il lago che fu percorso dalla fede nel miracolo oggi è una palude mefitica.
Le carni, sugli altari dei sacrifici hanno l'orribile odore della decomposizione.
Gli altari sono ricoperti di freddi simulacri di un dio fuggito.
Nel tabernacolo le ragnatele tremano di freddo.
Il soffio del vento si è fatto muto e tagliente.
Il sole brucia come le frustate che furono inferte al figlio dell'uomo legato alla colonna.
I simboli di fede si sono fatti strumenti tortura.

In alto nel cielo, anche gli dei si sono fatti paladini degli eserciti.
Come generali che vegliano sullo spettacolo del doloroso assedio, si contendono una vittoria che il loro stesso volubile gioco rese ardua e feroce.
Agli stratagemmi dell'uno rispondono prontamente le mosse dell'altro.
Un uomo nei suoi poveri stracci si fa bomba umana, disperata, senza destino, senza dignità, senza futuro, senza storia.
Un soldato, nell'uniforme come quella di ogni soldato irride i più deboli, i disarmati, i vecchi, le donne, i bambini.
La disperazione nel cuore, gli uomini sono trasfigurati in mostri.
I bambini in agnelli sacrificali.
La vita in grano secco da mietere.


E' FESTA


Oggi è festa, nella terra in cui gli dei vollero donare agli uomini fedi e credi.
Oggi si lucidano le canne dei fucili.
Si liberano le strade dagli ingombri delle macerie.
Si leniscono le ferite che sanguinano sotto le vesti logore.
Le anime sfilacciate come corpi martoriati hanno dimenticato pietà e speranza.
Solo un desiderio di annientamento abita quella terra, riempie le chiese, sale nei minareti, occupa le moschee, sventra le case, dilania i corpi.
Macerie umane e spirituali si sono accumulate insieme a quelle delle case abbattute dai mostri volanti che ululano nel cielo vomitando sulla terra fiamme e distruzione.

Oggi è festa, nella terra promessa.
Domani la guerra finirà.
Al posto delle case tornerà la dura pietra.
Nei campi, gli sterpi divoreranno le esili spighe di grano.
Sugli alberi i frutti dolci e succosi torneranno ad essere selvatici e aspri.
Il cielo si coprirà gli occhi con un manto di nuvole nere.
I fiumi si seccheranno.
Le leggi degli dei torneranno ad essere solo vento che si perde nell'aria.
Negli occhi dell'uomo brillerà alta la fiamma della bestialità, nutrita dei mille e mille sacrifici mietuti in mille  e mille anni di guerre.
Le mura del giardino dell'Eden saranno divorate dai colpi dei cannoni.
Eva partorirà con dolore il frutto della violenza di Abramo.
Abele si vendicherà delle mortali ferite procurategli di Caino e lo spingerà tra le braccia della morte, nelle quali, un giorno aveva provato il piacere del riposo.
L'intero giardino cadrà nel baratro dell'odio.
E Lucifero, con la sua spada di fuoco, sarà pronto a dominare su quel sacello rischiarato dalla luce falsa delle tenebre e dall'ingannevole fuoco della colpa.
Il serpente inietterà il suo veleno nelle carni tenere dell'uomo finchè il sangue rosso e caldo non si sarà trasformato in gelido siero torbido.
Il silenzio sgorgherà dalle bocche delle creature inebetite.
Il corpo di Adamo di disfarà in polvere e sputo.
Lo stesso dio creatore proverà nausea per quel destino crudele e vomiterà il suo rancore solitario promettendo l'illusione della vita eterna a povere creature credulone spuntate da qualche seme piantato nelle terre fertili di un pianeta lontano, perduto nello spazio, in cerca di un'orbita consolatoria.

Domani è festa, nella terra promessa.
Si riapriranno i templi per pregare ancora agli altari perchè offrano agli uomini sangue e carne e figli da mettere in croce.

Nonostante il dolore, quella terra ha ancora il coraggio di offrire frutti succosi.
Prima che il cielo si richiuda per sempre inghiottendo quella messe nutriente, lasciamo che il balsamo di quei frutti porti linimento alla sofferenza degli uomini che abitano laggiù.
Il lento soffio della musica di quei pochi cuori indomabili si faccia zefiro.
L'esempio di coloro che credono nella pace cresca e si moltiplichi.
Prima che il buio cali per sempre.




INNO ALLA GIOIA 
(Versione riveduta dell'inno d'Europa)

O amici, non questi suoni (di cannoni, n.d.r.)!

ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.

Gioia, bella scintilla divina,

figlia degli Elisi,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.

L'uomo a cui la sorte benevola,

concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, - chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c'è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Gioia bevono tutti i viventi

dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!

Lieti, come i suoi astri volano

attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.

Abbracciatevi, moltitudini!

Questo bacio vada al mondo intero Fratelli,
sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.

Vi inginocchiate, moltitudini?

Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!




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