30 lug 2013

JOUMANA HADDAD - SUPERMAN E' ARABO - introduce Gad Lerner


Così, se uno ha voglia di approfondire un pò le notizie sulla "primavera araba", sul mondo musulmano, sul medio oriente, cercando di capire un pò meglio i fatti che passano sui tiggì un pò superficialmente, si può ascoltare un giudizio diretto di chi vive - almeno in parte - quella realtà.
Un giudizio, ho detto.
No.
E' sbagliato.
Dovevo parlare del racconto, della descrizione, della testimonianza di chi vive quelle situazioni.
Ecco, allora questo video-racconto-conferenza è davvero interessante.



29 lug 2013

DIARIO DEL PASSAGGIO DI UNA FLOTTA DI GALEE

photo by pierperrone


Che grande flotta sta passando nel mare giallo!
Fiamme mandano riflessi nel cielo, fiamme d'incendi su terre lontane.
Riflessi d'arancio, di giallo, d'indefinita pallore elettrico.
Si propaga rimbalzando sulla superficie acquorea mentre la stazza panciuta dei naviri passa agile con le ali spiegate al vento, volando verso orizzonti infiniti.
Vedo accavallarsi le vele gonfie come nuvole grigie, grasse, gravide d'umore intenso, di odori acri e salmastri.
Si stagliano grosse, alcune.
Fra plancia del galeone e velatura scompare, a volte, cielo, ingoiato da quella densa massa galoppante.
Altri fiocchi sono più leggeri, sfilacciati, agili.
Si rincorrono, come uccelli leggeri, questi che vagano nello spazio infinito.
Mentre quelle gravi di pioggia, madide di sale, gonfie d'acqua spadroneggiano tronfie come volessero impedire alle correnti di correre libere per l'immensità del creato.

L'incendio che è divampato, laggiù, qualcuno lo sta domando, piano.
Lentamente una mano coraggiosa sta convincendo le vampe indemoniate di lasciare questa povera terra.
Piano si abbassa il riflesso sull'orizzonte.
E vedo le vele, leggere come nuvole, correre il mare infinito del cielo.
Non v'è spazio, differenza, limitie.
Il mare ed il cielo, stasera, sono una cosa sola.
Come l'uomo e la natura.
Nel cielo crepuscolare brillano i primi astri prepotenti.
Li vedo come luci che attraversano gli strappi nella velatura.
Fiotta sangue che ha il candore dei raggi delle stelle.
Poi, la corrente che soffia impetuosa si porta via l'alberatura.
Il sartiame fischia, sulla tolda della mia galea che attraversa gli abissi del fantastico oceano del cielo.
Sento rombare, lontani, gli echi dei motori.
Saranno i motori delle motonavi che sono quasi giunte al porto, laggiù.
Oppure sono rombi di cannoni, che rotolando fin quassù si sono divertiti a prendermi in giro.
Cannoni che tuonano di lungi.

Ora la flotta è diventata una colonna di fumo.
Viaggia orizzontale, paralleamente all'orizzonte.
Spinta, bassa, dal vento sstenuto e umido di pioggia.
Non ci sono uccelli a solcare il cielo, stesera.
Lontano qualche finestra lontana.
Forse oblò retangolari di qualche fantastico battello a vapore.
Immagino le ciminiere che giocano a chi sputa più in alto.
Gli sbuffi di fumo sono come palloni irregolari, lievi e giocondi.
... Oh, ma se fossero fumi d'incendi lontani, quanta paura farebbero al cuore!
E invece, su questo mare della notte che è sceso sullo scenario del mondo, sono sbuffi giocosi.
Sospinti dal gemito dei cordami che vengono tesi allo spasimo dal soffio di stanchi monsoni ammansiti.
Hanno già sgravato la loro pioggia malata.
Lontano, sugli orienti inondati, sui poveri cristi che si riparano sotto sconosciuti alberi abitati da antichi dei contadini.
Da noi portano solo il ricordo degli scrosci pesanti, delle raffiche esplose migliaia di miglia laggiù, ad est, come mitragliatrici che sparano pallottole d'acqua.
Arriva da noi l'umidore dell'aria pesante.
Odore di bagnato.
Cupezza del cielo che si tinge del colore del mare notturno, senza riflessi, chiuso, densa pece oleosa.

Le colonne di fumo son diventate nuvoloni che passano lenti.
L'incendio, là, dietro la linea dell'orizzonte, s'è spento del tutto.
Il mare, nel cielo, s'è fatto d'un azzurro cinerino, opaco, stasera.
Ad ovest, dove si gonfia il mare di Roma, stasera non c'è la festa degli allegri colori.
Un presagio triste di qualche peccato da dovere ancora scontare.
La cupola di S. Pietro è indifferente, cieca, un pò presuntuosa nella sua fantastica mole rotonda a tamburo gonfio di altera vanità dominatrice.
Quella del Pantheon, invece, scruta severa, con il suo muto occhio curioso, il nero cielo mosso dai cavalloni agitati che percorrono il cielo.
Loro, i vecchi dei pazienti, memori d'antiche origini terragne, non conoscono il peccato, la colpa, l'espiazione.
Per loro, la mancanza è mancanza.
Oltraggio, l'oltraggio.
La punizione, giusta vendetta.
Il cielo gonfio di presagi parla ad ognuno la sua lingua.
Ognuno la comprende come sa.
A qualcuno la bassa nuvolaglia livida di notte sembrerà il rimbrotto d'un dio arcano e vendicativo.
Ad altri il segno di un giudizio che domani colpirà con la sua fatale intransigente giustizia.
S'odono echi lontani d'implorazione.
Richieste di sfacciata innocenza, di empio perdono, di diabolico traffico d'anime.
Altre voci imploran perdono, pietà, remissione, indulgenza...
Ma lui, il mare, nel cielo sa parlare la sua lingua universale.
Siamo noi, semmai che non siamo buoni a capire.

Ora l'oceano s'è fatto abisso notturno.
Le vele sono diventate invisibili, forse tinte di nera fuliggine opaca.
O sono fuggite lontano.
Forse si sono invaghite d'un muscoloso monsone gentile e sono scappate in cerca d'amore.
Le colonne di sumo sono svanite, come gli sbuffi dei vecchi treni a vapore.
Anche il rombo lontano dei tuoni s'è fatto silenzio, 
Come le locomotive rombanti che dopo aver violato il silenzio, s'ingentiliscono facendosi piccole piccole inseguendo il binario che corre lontano e, infine, sparire, svanire, scomparire, sfumare, disfarsi, dissolversi, farsi niente dal niente che erano prima di essere state rombo che ha squassato il il silenzio dietro i vetri delle finestre tremolanti e impaurite...
Adesso dobbiamo confessarci.
Il mantello della notte ci mette di fronte alla dimensione della nostra fragilità.
Siamo come quei rombi di tuono, come quelle colonne di fumo, quelle vele fatte di nuvole grigie gonfie d'acqua e d'aria pesante.
Quando giunge la sera accade il miracolo della nostra piccola morte apparente.
Ci troviamo di fronte alla nostra fragilità.
Chi ci assicura che domattina ci sveglieremo e tuttò sarà restato come l'abbiamo lasciato?
Potrebbero accadere inaspettate rivoluzione, mutamenti imprevedibili nell'ordine delle cose, nelle leggi della natura.
In fondo, in quelle lunghe ore della nostra piccola morte abbiamo deposto le armi e ci siamo mostrati fragili e nudi.

Domattina il cielo sarà azzurro splendente.
Sta passando lo spazzino notturno.
Ha già accumulato le nere nubi che minacciavano pioggia tutte d'un fianco della via lattea argentata.
Fra poco passerà la raccolta differenziata.
La discarica dei cumulinenbi sta molto lontano, quando è estate quaggiù.
Il cielo però è ancora privo delle luci notturne.
Gli astri si sono forse messi a dormire?
La piccola morte riguarda anche loro?
Sono dei stanchi che hanno necessità d'un pur breve riposo?
E i marinai che governavano le vele dei bastimenti che volteggiavano presuntuosi nel cielo fino a pocanzi?
Che fine hanno fatto?
A dormire anche loro?
E le vele?
E le correnti marine che spazzano il cielo?

Ecco, ecco, un soffio s'è fatto ancora sentire.
Come volesse lasciare un saluto.
Un bacetto, qua, sulla guancia.
M'è rimasta sulla pelle l'umida frescura di questa sera che s'è tinta d'autunno.
Ho visto anche un bagliore lontano.
Laggiù.
Verso est.
Forse sta ancora bruciando la storia, dietro l'orizzonte nascosto dai grandi bastioni urbani squadrati.
Forse dobbiamo andare a vedere.
Su, forza.
Un piccolo salto.
Ecco.
Qua, sulla tolda della galea.
Ora c'è bonaccia, sull'infinito mare nero del cielo.
Ma domani saettanti correnti ci porteranno lontano...

28 lug 2013

UN PUBBLICO SPECIALE - Pink Floyd Live San Francisco 4/29/1970 Full Show

photo by Pierperrone


Faccio andare la musica, stasera.
L'onda del vento si unisce alle vibrazioni profonde che scuotono il cuore.
Si crea un flusso speciale.
Porta lontano.
In alto.
Lassù.
Dove ho preso questa luna speciale.
Là.
Per arrivare lassù non occorre fare alti salti allungando le mani.
Serve molto di più.
Per questo sembra che la fatica annebbi la vista.
Così anche il sudore un pò umido di questa sera d'estate trova la sua buona ragione.
Alle volte... è questione di feeling... 



Meraviglia.
Si è pura meraviglia trovare regali come questo.
Il web, youtube, è una miniera!

Chitarre acustiche, dolce voce, un'atmosfera intima, la gioia che ti entra dentro...
La sera pare prendere vita.
Il tempo scorre piano.
Una carezza del vento.
La camicia sudata mentre si ascolta il battito del tempo.
Gli uccellini, dolcemente duettano con l'organo elettronico.
Primordi della tecnica e genio della musica.
Energia che rulla come tamburi.
Il sangue palpita.
Il ritmo pulsa.
Ma tutto è dolce, stasera.
Sembra di avere ancora un'eta verde.
Sentire la vita che urla le sue angosce ma che, amichevolmente, poi, si siede al fianco per ascoltare un concerto.
Dopo, domani, riprenderà la sua folle corsa.
Stasera sediamo insieme sulla riva del fiume di ricordi.
Li contiamo.
Li vedi?
Non erano i tuoi, quei giorni che passano lenti laggiù?
Un poco sfuocati, ma sempre quelli, pieni di colori, sogni, speranze, forza, passione...
Ti ricordi anche tu?
Com'eri timido!
Si, impacciato.
In cerca del mondo.
In cerca di una carezza.
In cerca di qualcosa.
Un riflesso brilla lassù!
Lo vedi, tu, il cielo stellato?
Si, lo vedo.
Lo vedo ora come lo vedevo allora.
Non l'ho mai perso di vista.
Andavamo.
Si.
Mano nella mano.
Com'era tiepida, e tenera, la tua stretta.
Si, è forte.
E tra le stelle, lassù, con la tuta d'astronauta, e i sogni negli occhi...
Si, battevamo forte il piede per sentire la terra, ma volavamo alto, più in alto del cielo!
Volevamo vedere, capire, scoprire...
Ma perchè perli al passato?
Hai cambiato idea, forse, stasera?
No, no.
Alzo lo sguardo e ti vedo, lassù.
Cielo nero stellato.
Pieno di misteri, segreti, tesori, meraviglie...
Il mio galeone tiene le ali spiegate.
La bandiera sbatte forte.
Le vele tese.
Le gomene dure come legno.
Cigola il fasciame.
Lo sforzo di fendere le correnti, domare i venti, mantenere diritta la prua, seguire la rotta...
Ecco.
Eccola, l'utopia.
Terra bella.
Terra di miracoli.
Terra di sogni che realizzano se li sogni forte.
Ecco.
Ecco dove porta questa corrente.
Porta laggiù.
Con i cari compagni di viaggio.
Dai, cantiamo.
Forte.
Alziamo forte le nostre voci.
Facciamoci sentire dagli angeli!
Diamo in faccia al cielo con le nostre chitarre!
Lui ci ascolta.
Batte forte le mani!
Che pubblico.
Che pubblico, stasera.
Un pubblico davvero speciale!

26 lug 2013

VOCE NELLA NOTTE

Johann Heinrich Füssli - Lady Macbeth with the Daggers


"Si sente la mia voce?"
Eh?
"Ehi, dico, si sente la mia voce?"

Dal fondo del buio mi spaventa un richiamo.
Un'eco si spande concentricamente e pare asfissiarmi.
Mi manca il respiro.
Un suono.
Una voce.
Qualcuno.
"C'è qualcuno?"
Anche la mia voce si spande.
Ora.
Si addensa il buio, intorno alla mia voce.
Si condensa anche il concetto del tempo.
Lento e urticante.
I secondi si dilatano.
Si fanno eterni battiti che s'accavallano, tumultuosi.
Rintocca, fesso, il silenzio profondo della coscienza.
E' rimasto imbottigliato nel sonno.
Invischiato in inaccessibili vortici rutilanti.
Si dissolvono i sogni in tortuose volùte, alte e fuliginose.

C'è qualcuno, forse.
Penso grevemente, sprofondando nel buio pesto della paura.
Si coagula il pensiero, gocciolante sorpresa, sgomento, timore, paura.
Agghiacciandomi il sangue, l'oscurità mi circonda.
Alzo lo sguardo perso nel nulla che sovrasta.
E' un'immensa cattedrale spettrale.
Intravedo le sue guglie, altissime, levarsi verso il cielo infinito.
Le sue volte, oceaniche, s'allargano verso l'orizzonte sperduto.
In quella densa, terrorizzante, inconsistenza dello spazio, sento d'esser perduto.
La stanza intera, con me e la mia vita, è sprofondata nella notte.

D'un tratto, dalla finestra, sbarrata, dai protettivi bastioni degli scuri serrati, affiora una fioca lingua di luce.
E' una vampa, fredda e incolore.
Liquida, arde lungo la superficie oleosa della tenda.
Sembra di sentire il suo passo esitante.
Incerta, s'affaccia allo specchio appeso sul muro.
Lama affilata, si pianta sulla parete di fianco.
Sporta sul baratro senza barriere, il vuoto, oscuro e umiliante, la sospinge, impazzito, d'improvviso, con sovrumana forza mostruosa.
La catapulta a velocità incalcolabile contro l'oscuro muro infinito schiacciato sulla parete di fronte.
In un battibaleno, la lama baluginante saetta nel buio.
L'intera stanza, nella quale sono imprigionato nel letto, è nascosta nel buio.
Tutto è immobile, in attesa, sospeso.
Muta desolazione, disperata.
Una cella.
Una gabbia.
Sole quella lama di luce.
Che rifulge.
Un filo di coltello affilato.
Che non rischiara il denso buio profondo.
Un'illuminazione così non basta a rischiarare le tenebre.

Annego in quel mare.
Le tenebre, scavate da quell'artiglio affilato, si son fatte ancor più spaventose.
L'orrido volto del buio sembra solcato da una ferita inguardabile.
Vittima d'una efferata violenza brutale.
Una ferita che mi lacera gli occhi, appena spalancati di scatto.
Il cuore, spaventato batte impazzito.
Il cupo richiamo che proviene dall'abisso saturnino in cui è sprofondata la stanza lo scuote.
Vuole fuggire.
Scappare.
Si butta all'impazzata in una corsa sfrenata.
Sussulta.
Sfinito, freme, stremato.
Singhiozza.
E, ora, ancora schiuma fremendo, inseguito da mille incubi neri.
Poi s'inabissa, nello sconfinato sconforto.

Povero cuore!
S'è quasi fermato.
Guardandosi intorno spaurito e disfatto, non è sfuggito all'agguato.
Il lenzuolo sudato, è umido, livido, madido, fradicio, ormai.
E' un sudario.
Lo scarto, con un gesto violento.
Ed io, nudo, immobile, resto!
Mummia denudata alla mercè dell'orrore.
Ciechi occhi scavati.
Legnosi muscoli tesi.
Un morto.
Riportato alla vita da un misterioso, oscuro, richiamo.

Che cosa, in definitiva, poi, ha mai detto quella voce d'inferno?
Quali sono state le parole precise?
Una voce è un suono, qualcosa.
Deve pur appartenere a qualcuno.
Si, ecco.
Era qualcuno.
Uno.
Nessuno.
Sembrava parlare.
Chiedeva...
Implorava...
Gemeva... piangeva...
Qualcosa voleva, forse, sapere.
Da me?
Petulante, fastidiosa, importuna.
Non era stata ricacciata laggiù?
A marcire nel fondo del nulla, nell'ombra più nera del buio?
S'era, forse, all'ultimo istante, disperatamente afferrata all'ultimo lembo stracciato d'evanescente coscienza? Non era piombata nel vuoto assoluto del dimentico oblìo?

Quella voce non ha nessuna certezza.
Non ha una prova.
Non sa neanche di esistere
Ed io... 
Io mi sforzo di trovare un varco nell'incoscienza, nell'ipnotico rutilare dei sogni.
Cerco un appiglio nel fantastico mondo notturno.
E quello, screanzato, vuole sfuggirmi ancora una volta.
Resiste, testardo.
Dannato.

Ed io...
Un naufrago disperato nell'abissale oceano notturno.
Allungo nel vuoto il mio dito proteso nel nulla.
S'è inabissata la stella polare che arde fissa lassù.
Il braccio, esterrefatto, si getta all'inseguimento del dito.
La mano, disperata, palpita strenui singulti senza trovare un appiglio.
M'afferro alla zattera che fluttua, lontana ...vicina ...
Disfatto, cerco di prendere sonno.
E sto lì, sul confine di quel mare di sogni sargassi...
Che agogno ogni sera!

Disgraziatamente, però, mi sono impigliato.
Non riesco a nuotare.
Resto attaccato all'estremità della treccia spinosa di neri capelli che sprofonda nella liquida afa d'una notte d'estate.
Tra me e me, a lungo, questiono sull'incerta evenienza dell'esistenza d'una voce che possa restare intrappolata nel buio.
E' un'eventualità improbabile.
Un'instabile precarietà dubitativa.
Così, però, è vero, lo vedo, le concedo una benchè dubbia possibilità d'esistenza.
E' una debolezza.
L'estrema perdita della coscienza.
La maledizione.
Un maleficio m'ha còlto.
E' stata questione d'un attimo.
Non l'ho, subito, effettivamente negata!
Allora, forse, è vera realtà e si nasconde laggiù.
Un bocca profonda.
Una gola assetata che aspetta il mio sangue.
M'immagino i suoi denti affilati.
Sprofondo nei suoi tenebrosi occhi che inghiottono il vuoto.
Nella stanza non resta più niente...
Non c'è più nulla da attendere.

Forse non sono stato lesto abbastanza, nell'ultimo gesto d'igiene serale...
Oppure non ho fedelmente eseguito le rituali abluzioni per purificare lo spirito ed il corpo...
Ho recitato con animo puro le litanie che invocano il sonno?
Le orazioni che preludono al rassicurante rito d'esser deposto nella frescura setosa de letto?
Si devono celebrare le esequie del giorno defunto, prima di spegnere gli occhi.
Oscurare lo sguardo.
Sbarrare la via alla luce.
Si deve essere puri.
Mondarsi d'ogni peccato.
Solo così essi sono ammessi dinanzi dinanzi all'altare degli abbaglianti fulgori notturni.
... Con meticolosità devota devo indossare la notturna clamide candida.
Devo prendere i voti sacrali.
Far giuramento di morte.
Ecco...
Ora son pronto.
Ora si celebra il sacro rito incantato.
Mi vien consegnato il fiammeggiante scettro del regno dei sogni!

Ora son vecchio.
Stanco.
E canuto.
Mi osservano spenti occhi allo specchio.
A passo di carica assaltai la distanza che conduce alla conquista del trono.
Con affondi feroci sconfissi le resistenze nemiche.
A trionfale passo di marcia gustai il dolce sapore della vittoriosa conquista.
E volli vedere, sapere, conoscere...

E sempre più in là. 
Sempre più oltre spinsi le mie misere truppe impaurite.
Fin nel regno notturno degli incubi infèrni.
Ma ormai mi sono addentrato in territori troppo lontani.
Mi sono già avviato verso la fine.
Verso gli oscuri territori inesplorati del tempo incosciente.
Ho dato le consegne agli attendenti fedeli.
Ho posto vigili sentinelle di guardia ad ogni angolo di quest'questo orizzonte infinito che si perde nel buio.
Sono pronto, ormai, stanco, disfatto.
Son giunto alla fine.
Son qui.

"Voce!"
"Son qui!"
"Ecco. Mi vedi? Son venuto a sfidarti. Son pronto a sedermi sull'ultimo trono potente che non è stato ancora conquiso.
Sul tuo scranno, demonio!"
"Ecco.
Mi senti?
Sono il signor della notte...."

Ecco.
E' quella voce, ancora.
E' caduto il baluardo estremo del mondo invisibile.
Deve aver approfittato di qualche fessura della coscienza.
Un evidente, codardo, vile, tradimento vigliacco.
Io l'avevo incatenata nella cella più fonda.
Ma lei, piagnucolosa e strisciante, s'è fatta sentire anche di là.

"Ehi, laggiù, la mia voce si sente?"
Eh?
"Si, voi, là, nella notte, la mia voce si sente?"
Cosa mai ...

18 lug 2013

MARLON

Photo by Pierperrone


Marlon, così si fa chiamare dagli amici al tavolo, al bar
Non sempre è allegro, vivace, frizzante, gioviale, scherzoso, sorridente, sereno...
Non sempre.
Alle volte una linea gli attraversa la fronte.
Come una strada deserta.
Sembra solo un segno superficiale, un tratto lieve e leggero sulla pelle liscia che si stende sotto la capigliatura lucida e chiara.
Ma è solo perchè lui non è ancora un uomo fatto.
E' poco più di un ragazzo.
E sulla fronte di un giovane uomo, le linee dei pensieri si mostrano poco.
Quasi temono di spaventare un'esistenza che sta maturando lentamente.
Forse, chissà, azzardo un motivo, certe linee sono così caute, come se si tenessero nascoste, come se, acquattate, in sordina, stessero, tese, tendendo un agguato alla vita ancora acerba.
Forse sono così vili, forse sono davvero vigliacche, forse, lo fanno, perchè, sono ancora incerte, non si sentono sicure, non hanno deciso, non vogliono dare a vedere, o, forse, solo, ancora, non sanno di poter disporre con tutta la propria forza disperata d'un corpo che potrebbe opporre resistenza, lottare, reagire con forza e vigore.
Forse le linee del pensiero temono di doversi piegare, di dover subire l'oltraggio della sconfitta, di dover girare intorno alle cose.
Lo snaturamento di una linea.
Che, invece, deve poter andare dritta per la sua strada, per poter essere una linea.
Certo, comunque non hanno pena di una fronte così, ancora innocente, pura, ingenua,
Ma forse ne temono il vigore.
E allora si mostrano poco.
Forse sanno che una giovane vita ancora non conosce bene la vita e allora, quella fronte orgogliosa e incosciente potrebbe diventare una piazza di guerra, una sacca di resistenza, una cellula ribelle, una variabile impazzita, una scheggia vagante...
Quella roccaforte, da conquistare col peso gravoso del ricatto della maturità, potrebbe essere governata dalla forza acerba e brutale dell'incoscienza, del rischio, del pericolo.
Addirittura, quella prateria incolta e selvaggia, potrebbe essere battuta dai venti indomiti dell'entusiasmo, schiaffeggiata dalle raffiche della gioia incontrollabile, colpita dallo tsunami distruttivo della pura innocenza.
E quindi, forse, pensano di dover fare più attenzione, di dover avere più cura, di muoversi con più tatto per conquistare anche quel nuovo territorio sconosciuto.
Invece, con un uomo maturo...
Ma, forse.
Chissà.
Io ho solo azzardato un motivo.
Ma forse un motivo vero non è questo.
Oppure, un motivo, nemmeno c'è.
Forse quelle leggere linee di tempesta che si stampano sulla fronte di Marlon sono solo il segno dei sogni, o, chissà, dei ricordi, o forse, i segni delle speranze, o, anche, chissà cos'altro possono mai significare quelle leggere increspature su quel giovane mare, agitato come tutti i giovani mari per non si sa bene quale strana ragione.
Non lo so.
Io non sono più un giovane uomo.

Le carte non si giocano più, la sera, al tavolo, al bar.
E neppure il flipper elettrico fa sentire più i suoi lamenti violenti, nei bar, il giorno o la sera, con le palle di piombo che sembrano luccicanti corpi celesti in rotta di collisione con gli astri del firmamento.
Neanche i biliardi, quelli col panno verde, disteso, liscio, un raso prato perfetto rinchiuso fra quattro sponde forti come dighe ed inespugnabili come mura merlate; anche quelli, non si trovano più, al bar, e devi andare a cercarli, se proprio lo vuoi, in certe sale specializzate dove bazzicano solo tipi strani che non fumano più pesanti sigarette che puzzano di tabacco bruciato, ma si tengono attaccati a piccole ciminiere elettroniche che emanano sbuffi di vapore sintetico e velenoso.
Ecco, neanche i biliardi si trovano più, al bar, la sera, e le lunghe stecche affusolate di legno, i birilli, le palle che scroccano duro se gli tiri violenti colpi diretti stanno nascoste in chissà quali ombrosi magazzini pieni di polvere, a marcire, a riempirsi di tarli, di gobbe gibbose, di ragnatele e sterco di topi.
Neanche quelli li trovi più, nei bar.
E la mattina, il giorno, la sera, non si sa più cosa tiene unito lo sparuto gruppetto di giovani fronti segnate da diritte linee leggere come sentieri appena battuti da un soffio di vita. 
Certo, non è più nemmeno il juke box, che ormai non lancia più in aria le sue note chiassose, a volte un pò tristi, o allegre, non si poteva mai prevedere, dipendeva dall'umore della gente del bar.
Al bar, nemmeno il juke box, la sera, fa sentire più la sua voce e se ne stanno tutti attaccati all'auricolare di mattoncini anneriti di plastica, abbagliati da piccoli schermi baluginanti, ipnotici, nevrastenici e nervosamente instabili.
E il bigliardino?
Il calcio balilla.
No, pure quello è sparito.
Ed anche quei vecchi giochi al bicchiere sono finiti, non si fanno più, per passare la sera e fare ubriacare qualcuno per scherzo.
Ormai ci si ubriaca per professione, per disperazione, per il vuoto che riempie il deserto di quelle fronti su cui esitano a poggiarsi quelle lievi linee d'angoscia, timorose e spaventate. 
E' diventata difficile la vita, al bar, la sera, quando il magone prende alla gola il giovane Marlon.

Una linea resta comunque sempre una linea.
Quella che attraversa la fronte di Marlon sembra passare per caso di lì.
Se guardi Marlon, seduto davanti al bar, là, sulla soglia del mondo, lo potresti scambiere per un marziano arrivato da un mondo lontano, che gira lassù, sperduto nel cielo infinito, invisibile come un punto senza spessore, ficcato chissà dove nella volta celesti.
Certo, uno così viene da un posto lontano.
Di certo, Marlon ha conosciuto un mondo diverso, viene da un altro pianeta.
Se non proprio un marziano, è forse un marinaio, un esploratore venuto da un continente lontano.
Oppure è un camionista che ha viaggiato per mille miglia al giorno, ogni giorno della sua chilometrica vita.
Uno che visto il mondo dormendo sul lettino del suo tir puzzolente.
E' sfrontata e arrogante la bellezza di Marlon.
E' la bellezza dei giovani uomini che hanno ancora la leggerezza innocente sui lineamenti del volto che ancora non si sono fatti i caratteri d'uomo.
Capelli indorati d'una tintura di seconda qualità e grandissimi occhi di cervo impaurito.
L'espressione assente, distratta, d'uno straniero che non conosce la lingua, d'uno sconosciuto capitato per caso lì a quel bar.
E, sempre per caso, quella linea, è là, sulla fronte, scivolata per chissà quale ragione.

Un linea, però, a volte, vuol dire pensieri.
Ma questo, Marlon, non può ancora avere imparato a capirlo.
Spensierato, come un giovane, che se ne sta spensierato anche quando la sua vita, che non gli è stata ancora assegnata definitivamente, gioca indecisa cola corta frangetta dei suoi capelli d'oro, unti d'una grassa brillantina maleodorante.
Ma lui si definirebbe certamente così.
Spensierato.
Anche se quella linea, lui, nemmeno la vede quando si aggiusta davanti allo specchio del bagno del treno, dove passa le ore a giocare il vecchio gioco del nascondino con una guardia ferroviaria più vecchia di lui.
Marlon, la sera, davanti a quel bar, ci passa le ore.
In attesa.
In attesa, poi, di chissà che.
Che cosa passerà mai nelle mente di Marlon, in quelle ore passate in attesa di chissà cosa possa mai accadere?
Non si può sapere.
Non si può mai sapere.
Vallo a sapere.
Tutti modi per dire che lui, Marlon, sta al mondo senza neanche sapere perché.
Anche quel bar sta sul confine del mondo senza sapere bene perchè.
Cosa vuol dire una cosa così solo Marlon lo sa.
Lui passa le ore senza neanche vedere che la vita gli passa davanti.
Lui e la sua birra, a metà, nella bottiglia che si annoia da sola, senza scambiare una parola per tutta la sera.
Passano ore, giorni, anni interi.
E' la vita a passare lenta così, a raccogliersi dentro quella bottiglia.
Eppure la vita lui la vita la beve così, attaccandosi a quella bottiglia, la sera, seduto davanti a quel bar.

15 lug 2013

'NA NAZZIONE 'E MMERDA

Amsterdam - Rembrandt platz "La ronda di notte" - Rembrandt.


E nun ce sta nient' 'a fà, chesta è 'na città 'e mmerda.
Ccà, in questa chiavica di nazzione, songo sempe 'e puverielle che passano 'e 'uaje.
'Stavota però v'aggia cuntà chello che succerette quanno chillu sfaccimm' d' 'o rrè se mettette 'ncapo 'e fa' 'a uerra pe' s'arrepiglià  'sta città e mmerda.
Quanno se mettette, pe' ffà 'nu nuovo guverno, 'nzieme al partito dei fantasimi di Cacania.
Ve ll'aggia dicere pecchè 'sta storia è overamente eccezziunale, 'nu fatto ca nun s'ave maje visto primma sulla faccia della terra.
E llo sò, mo' vuje ve site misso già a ridere, ve veco tutte quante, 'ncopp' 'a seggia, a rint' 'o vico, annanz' 'a porta, alluccanno a Mariella:
"Mariè, staje a sentì, 'uard' 'a chisso ca ce sta' raccuntanno!
Ccà ce sta' nnu cazz' 'e rrè ca se vo' arrepiglià 'a città affacennose ajutare da 'nnu partito di fantasimi!
E ppò, 'uarda, 'uarda, 'stu partito tene pure 'nu nomme 'e mmerda !
'Nu partito ca se chiamma "Partito dei Fantasimi di Cacania !"
Ma vuje nun v'avite mettere 'a rirere !
Eggià chillo, 'o nome, Partito dei Fantasimi di Cacania, pare 'o nomme 'e 'nu cesso, 'na pazziella maleducata 'e 'na criatura scustummata.
Pare 'o nomme ch' 'ave misso quacche segretario scemo, nu 'senatore, overo 'nu deputato, cchè ssaccio io, c'aveva asciuto pazzo all'intrasatte, 'nu 'fondatore scunclusionato, comme ce ne so' state già tante.
Uno co 'a capa 'nu poco fraceta, 'nzomma.
E invece vuje m'avissava stre a séntere cchiu seriamente.
Mo', mettiteve assettate e statev' a sentì chillo che v'aggi'arracuntà.
Cca' 'o fatto se fà proprio serio!
O, apperlomeno, stu' fatto addiventa  'nu cazz' 'e 'uaje pe' tutte chille ca vann' a fatecà.
So' dulure 'e panza pe' chille ca' se susano 'a matina ca vulessero ji' a fatecare onestamente.
E' 'na traggedia, pe' chille ca nun pozzono campare senza jittà 'o sang' abbasci' 'o puorto opuramente aizanno sacche gravuse adderet' 'a quacche funnaco 'e magazzino.
Si pure a trovano 'a fatica!
Ca mò nun se trova cchiù niente, manc' a ffà 'o contrabbando abbascio alla marina.
So' gguaje.
E' 'na disgrazzia.
So' cazz'amare!
Tutte chille ca vanno cercanno 'e purtà 'a casa 'nu piatt' 'e menesta, 'nu tuozz' 'e pane, 'na manata 'e patane 'a vuglì pe' sazzià chelle vucchetelle affamate ca chiagneno, e chiagneno, e chiagneno tutto 'o tiempo ca ddio manna 'nterra!... ogge nun c'aveno altro che mmiseria, disperazzione, disoccupazzione e povertà!
E che cazz'.
Vuje m'avissav' a capi'!

Embe'.
'Inzomma.
E vuje ve l'avisseve arricurdà, chillo ribbusciato, 'o cazz' 'e Masaniello, chillo fetent' e mmerda ch'aveva misso sott' e 'ngoppa tutta la città.
Isso e tutta chella maniata e fetienti c'avevano occupato 'o palazzo rriale.
Avevano appicciato 'o ffuoco ammieze 'e puverielle.
Ind' 'a città, rind' 'e vviche, adint' 'all'osterie...
Nun se parlava d'altro.
'A rrevoluzzione!
Avevano armato n'esercito 'e puveracce,  'e muorte 'e famme, 'e 'mbriacune...
Tutta 'mmala ggente.
Brigante, miserabbile e delinguente!
Disperate e gnurante fin' 'addind'all'ossa.
E c'aveva fatto chill'omme e mmerda?
V'arricurdate?
Quanno era arrivato annanz' 'o rrè, ll'aveva apustrufato cumm' 'a 'nu tizzone dell'inferno.
Pareva 'nu rivoluzzionario allampato 'e vampa!
"Voi, 'o rrè d' 'o cazzo, ve n'avete da ghjire a fare inculo.
Da oggi sono io a prendere scettr' e curona!
Songo io, mo' a cummandare tutta la città.
E chiste muorte 'e famme cca', ll'esercito rrivoluzzionario, da ogge s'aveno sfamare cu' tutte le ricchezze voste.
Cu' chello ca c'avete arrobbato in ttutti questi anni.
Vuje, mmiezo rre'
Vuje, 'o rrè e quella zoccolella della rigginella cu' lla curoma, e appriess' a essa chella principessina bruttarella e puttanella assaje ... mo', propetamente adesso, ve n'aveta da jire affangulo !
Fora dalla città!
Qui adesso comado io !
Adesso comanda il Poppolo.
Il Poppolo è sovrano.
E nun  ce sta spazzio per due rrè 'rint' 'a cchesta città.
O vuje, c'avete arrobbato fino a oggi.
O il Poppolo, ca ogge s'ave arrevotato e che v'ave processato e cundannato!
Il popolo intero vi ave riconosciuto colpevole!
La vostra colpa è di avere arrobbato 'nzieme ai vostri ministi.
E i partiti dei nobbili aveno arrobbato 'nziem 'a vvuje.
Adesso, propetamente mo', vuje avite andare a farvi fottere da un'altra parte!
All'alba di dommani matina dovrete lasciare la città.
E 'nzieme a vvuje tutte le zoccole ch'avevato fatte cunzgliere di cammere, barunesse e principesse, tutt' 'e cardinali, tutt' 'e generali e tutta chella maniata 'e fetiente 'e mmerd' c'avevate accampato appriesso a vvuje 'ncopp' 'e spalle noste!
Ecco.
Ho detto.
Io, Masaniello.
Vi ordino.
Jatevenne!!!"
Si.
Masaniello.
O Masaniello d' 'o cazzo!
Eppure, chillo, 'o rrè, chill'iomme 'e mmerda, se mettette subbeto appaura.
Overamente, anzi, chillo, 'o cacasotte d'o rrè se cacaje propetamente 'sotto.
Pperciò pigliaje chillo nome.
Cacasotto.
E se currette a annasconnese.
Pareva ca chiagneva.
Cumm' a 'na criatura.
Alluccava  che 'llaveno arrobbato la pazziella.

La matina roppo, primma ancora c' 'o sole s'aizava 'ncopp' 'o mare,  tutta la prociussione rreale, 'o cacasotto annanze, annascuso 'rind' a 'na carrozza, 'a riggina a ffianc' a isso e la principessina di fronte.
E tutto il corteo delli ministri che seguivano accavallo.
E appresso i cardinali porporati, a ppiedi, ca priavano e chiagnevano.
Doppo c'avevano futtuto tutto chello ca se potevano fottere, arrobbato tutto chello ca se putevan'arrobbà.
Poi, venivano i cortiggiani in divisa, ca nun se capiva chi era stato surdato e chi invece maggiordomo.
Tutta chella marmaglia era stata la crema della nobbiltà cittadina e mmo' stevano  già scappanno cumm' 'a 'na jattara appaurata.
'Nu 'nzerra 'nzerra 'ca faceva venì 'o mmale 'e panza pe' 'e rrisate 'd' 'a povera ggente.
Tutto il poppolo s'era arrovesciato sulla via per avvedere chillo cacasotto d' 'o rre' ca se ne fujeva cu tutto lo guverno ... e lo curteo de la pruciussione appriess' a isso!
Ma succerette ca, avvedere 'o rrè se ne fujeva, ca jeva scappanno purtannese appriesso tutta chella folla di ministi guvernativi che fino a poche ore primma appaurava la pupulazzione colli ggiudici c'ordinavano alllo bboja di tagliare capezze e impiccare pupulane, mentre se ne scappaveno pure li prievuti appiess' a lloro, ca nun recitaveno cchiù lu paternoster e il gloriappadre e l'Avemmaria, ecco, mò, adesso, avvedere ca se ne fujevano tutte quante cumm'a 'e zoccole ca se ne fijeno rint' 'a chiaveca quann'arriva 'o jatto niro, ecco, nun saccio pecchè, la pupulazzione se facette piano piano trista trista.
All'inizzio, tutte quante mannavano affanculo lu rrè cu tutte li rreali.
Pigliaveno l'ammunnezza, opure la verdura fraceta.
Quaccheduno più arreccuto pigliava 'na muneta 'e quatto sorde.
E 'a jettavano 'ncuollo a chille povere cristi ca stevano scappanno.
E alluccaveno le cattiverie più miserabbile ca se putevano sentì.
Io stesso, cca', nun pozzo arriferì.
S'era scatenato l'inferno 'nterra!
E restaje spalancato fin'a quanno tutta quella appruciussione nun scuparette fora dalla porta cittadina.
Poje, chiano chiano, quacche cosa 'ntristije tutt' e pupulane.
Cumm' a 'nu brutto penziero.
'Nu presentimento tristo.
'O cielo s'oscuraje all'intrasatte.
E po', lampe.
E ttrone.
Senza manco 'na goccia d'acqua.
Quacceruno alluccaje, nel silenzio che s'era fatto.
E' la maledizzione!
'O rrè, li cardinale.
Avimmo cacciato ddio, 'nziem' a lloro!
E tutte s'addenucchiarono prianno.
Quaccheruno steva già chiannenno!
Quaccerun'altro ajzava 'e mani 'ncielo.
Molti stevano in silenzio.
Sgumentati.
Stòlidi.
Muti!

Quando le porte della città furono finalmente 'nzerrate, ormaje s'era fatto miezzojuorno.
Il sole era già assai alto in cielo.
Le strade furano arrimaste solitarie.
La città s'era fatto 'nu deserto.
Pure 'o cazz' 'e Masaniello era sparuto.
Forze, diceva quaccaruno, stava assiso 'ncopp' 'o trono rreale.
Forze, diceva quaccherunaltro, stava cu' Mmariella, aret' ' vico.
Forze, dicevano le malelingue, se n'era scappato puro isso.
Dicevano che l'avevano visto cu' 'nu sacco de munete, argiente e ori, mentre se ne fujeva p' 'a fenesta d' 'o palazzo rreale.
Certo, nisciono ci credeva overamente.
Ma chillo, 'o cazz' 'e Masaniello, 'o cunucevano tutte quante.
'Nu muort' e famme.
Un ex guitto di tiatro.
'Na barba longa.
'E capille cumm' a 'nu lione.
Alluccava sulamente.
Addegrignava 'e diente cumm'a 'na tigre.
Ma pò.
Overamente.
Chillo che cazzo jeva truvanno dalla povera ggente?

All'inizzio tutte se penzavano 'ca fosse arrivasta ll'ora 'e accummannà.
Quanno erano trasuti nel palazzo, comm'a 'n'esercito vincitore, se penzavano d'essere addiventati tutti eroi.
Emmò dovevano fare le leggi per i poveri.
Dovevano dare da mangiare a tutte quante.
Truare 'nu lavoro pe' tutte le pezziente.
Ca pò, comme se chille, 'e pezziente, se vulessero mettere overament' 'a ffatica' !
Chianu chiano, doppo ca s'erano sazziata 'a panza, inzomma, doppo c'avevano sfugato l'arrepressione ca i muort' 'e famme se portano 'rint' 'o core 'a quanno so' muorte 'e famme, appoco appoco, tutte quante s'appucundriarono dentro alla sala del Parlamento d' 'o palazzo rriale.
Quacche cundanna a mmorte ce vuleva pe' arricriare lo spettacolo 'ntristuto.
Ma, arrutulata che ffù quacche povera capa 'mparruccata ca ancora nun se n'era fujuta appriess' 'o rrè, presto arrivaje la tristezza pupulana.
Masaniello, cazzone cumm'era, 'nun sapette che dicere.
Facette primma 'nu discorzo a tutta la pupulazzione.
Parole gorsse, volarono, dentro alla sala del Parlamento.
Ma furono sulamente strunzate.
Chillo, 'o popolo nun sapeva che cazzo fà.

Passarono i ggiorni, le settimane, quacche mmesata.
Dopo gli editti, le proscrizzioni, le condanne  e l'esecuzzione, nun restaje cchiù autro da fare che metterse accummanare.
Ma chella fatica metteva appauta a tutte quante.
Nisciuno cchiù asciva di casa per andare alla sala del Parlamento, 'ncopp' 'o palazzo rriale.
Quella sagliuta davanti al palazzo sembrava addiventata 'na muntagna 'nnevata.
Ggelo, fulmini, tempeste parevano muzzecare li stracciati ca s'avessero vuluto avventurare a chillo cimmitero 'e morte.
Appoco appoco, manche cchiu' 'e pupulane se facettero avvedere in giro, appaurati di dovere faticare per accummanare.
Avere da vutare lleggi e 'e rregulamenti era 'na cundanna a mmorte!
Nisciuno 'e chill' 'e murt' 'e famme sapeva leggere o scrivere.
" 'O cazzo d' 'o Masaniello ave parlato cumm' 'o scienziato d' 'o cazzo", se diceva 'a ggente p' 'a via.
"Ave accummannato a chillo cacasotto d' 'o rrè 'e se ne ji' affanculo, ma nuje, puverielle, senza 'nu rrè, mò, nun ce sapévamo avvedere".
Quacche mese doppo ch' 'o rrè cacasotto se n'era scappato, già ce stevano i disperati ca stavano chiagnenno, ammalincuniti ca nun potevano cchiù obbedire a quaccaruno.
'E cape toste cchiù toste sostenevano ca si dovevano ancora fare le leggi nòve.
Ma nessuno sapeva scrivere e anche quelli che dicevano che si dovevano fare leggi che non dovevano essere scritte, pecchè tutti le potevano imparare a memoria, poi, nun se arrecurdavano neppure loro che cosa avevano deciso di decidere.
Eppoi, quando appruvavano a fare uscure una legge nuova, ecco che quella pareva cumplicata, difficile, 'na cacata ver' e propria. 
E issi stessi, allora, se mettevano vergogna e s'accurrevano a annesconnere co' 'nu bicchiere 'e vino 'mmano, all'osteria addereto 'o palazzo rriale, all'angolo d' 'o vico, nell'ombra, annescusi.
Accussì la città era addiventata un casino vero e proprio.
Tutti s'erano fatti ggenerali.
Nisciuno sapeva accummannare.
Nisciuno ca puteva obbediscere.
'O cazz' d' 'o Masaniello aveva fatto alcune dichiarazzioni ai ggiornali degli Stati stranieri dei dintorni, facendo fuoco e fiamme, ma s'era appaurato tutto quanno, cumm' 'a 'nu guaglione c'ave visto 'o fantasima suojo mmiez' all'oscurità della notte.
La notte era caduta sulla città.
'Na notte ca nun ferneva cchiù.
A fottere s'erano fottuto, il primo giorno, tutto quello che si poteva fottere.
Oro, ggiojelli, pperle prezziose, dinari e carte commerciali.
S'erano chiavate tutt' e zoccole d' 'o quartiere, chelle ch'erano arrimaste, brutte, vecchie e zzuzzuse, che le più prezziose se nerano avevano penzato bbene d'annà appriesso 'o cazz' d' 'o rrè.
S'erano scopate pure le mogli, le amanti e le cuggine.
Nascettero 'nu sacc' 'e figlie, 'ncap' manc' a 'n'anno.
Tutte vocche nuove da sfamare. 
Ma mò nun ce stava cchiù nippure 'nu cuntrabbandiere ca teneva aperta 'na puteca.
Il pane era finito e la farina nunn'arrivava cchiù abbascio 'o puorto.
Anche ll'urtima nave china 'e farina era restata senza scaricatori.
E la bianca macinatura addiventaje subbeto cibbo marcito per le zoccole nere d' 'o puorto,.
Manco 'e jatte annettero a lle 'scuncicà.

'O rrè s'era andato rrifuggiare a casa del fratello, governatore dello stato di Cacania.
Llà, 'o ssapite pure vuje, a Cacania, ormai c'erano rimaste sulamente fantasimi e spiriti spettrali.
'O guvernatore era nu spilungone verdastro, cu' 'na faccia ca pareva 'nu puorco ben pasciuto, era 'o frate d' 'o rrè, forse... accussì diceva chella gran puttana della riggina madre d' 'o cazz' d' 'o rrè.
Tutt'e dduje avevano banchettato, s'erano fatto le rraggioni, avevano deciso di sazziare primma la pancia e poi di chiamare a raccolta tutto l'esercito di ministi che abbondavano a Cacania.
In poche ore la resistenza era organizzata.
Il nuovo guverno!
I fantasimi erano leggeri, volavano per le strade, si organizzavano in manipoli che era una gioia per i ministi ordinare e comandare.
Le bbannére erano azzurre, brillanti, cull'inzegne tutte d'oro.
In testa ce stava la banda.
'Na bbella canzone.
Un inno.
"Forza Cacania".
'O rrè stette a guardare stupito.
Era ammirato.
Crepava d'invidia!
E chiagneva p' 'a figura 'e mmerda c'aveva fatto fujennosene dalla città.
Erano lacreme c' 'o frate d' 'o cazz' d' 'o rrè, 'u guvernatore di Cacania, nun  doveva avvedere. 
E accussì chillo, 'o cazzone arriale, se annasconneva asotto un fazzoletto bianco grande come una tovaglia merlettata.
Facevo finta ca stava arrifreddato.
Starnuteva pè ffinta.
Pareva nu guaglione annanzi alla maestra.
Ma era tutta una sceneggiata.
Vuleva fare crerere 

Il corteo, la pruciussione dei fantasimi di Cacania era fatto di gente vestuta oscuro, ma appareva vulare incoppa alle vie, sulla strada della città dove si stava precipitando per compiere la vendetta controrivoluzzionaria.
Le sentinelle della città addormivano tutte quante.
Li spettri arrivarono di soqquatto.
In silenzio passarono attraverso i muri.
Nessuno li sentì.
... (forse continua)

13 lug 2013

MALALA YOUSAFZAI addresses United Nations Youth Assembly


E' commovente. 
Sentire le parole così alte di questa bambina, pronunciate dinanzi all'assemblea dei potenti del mondo commuove davvero. 
Concetti e parole semplici. 
L'istruzione, la penna, il libro. 
Sono queste le nostre armi per conquistare il futuro. 
Questo dice Malala parlando a nome di tutti i bambini, di tutte le donne, di tutti i deboli dell'intero pianeta.
Forse ce lo eravamo dimenticati. 
Un futuro esiste. 
Il futuro esiste ancora.
Esiste per chi vuole continuare a cercarlo. 
E costruirlo. 
Si, perchè, per il futuro servono braccia.
E mani. 
E menti.
Per pensarlo.
Per montarlo.
Per allargarlo su tutta la terra.
E servono libri, e penne, e parole ... per immaginarlo, e progettarlo, e dargli vita. 
Malala questo dice. 
Malala è figlia di noi tutti. 
Malala vuole essere donna, cittadina, libera. 
Malala è come Maria, Stefania, Jessica, Venus.
Malala e come Gianmarco, Marco, Luca, Stefano... 
I nostri figli. 
Fratelli di Malala.
E Malala sorella dei nostri figli. 
Questo grida Malala dinanzi al mondo. 
Questo è il suo messaggio.
Alto, forte e chiaro. 
Ce l'eravamo dimenticato? 
La commozione in parte nasconde il sentimento di leggera vergogna per la nostra corta memoria. 
Ricordiamo bene il valore del nostro denaro. 
Ma abbiamo dimenticato di cosa si nutre il nostro futuro.
Per questa ragione, per ricordarmi di cosa è fatto il futuro mio e di mio figlio, nostro e dei nostri figli, ho tradotto il discorso di Malala. 
Leggetelo. 
E, per favore, diffondetelo!



Questa è la traduzione del discorso integrale di Malala:

In nome di Dio, il Compassionevole, il Misericordioso.
Onorevole Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon,
Rispettato presidente dell'Assemblea Generale Vuk Jeremic
Inviato delle Nazioni Unite per l'istruzione globale Onorevole Signor Gordon Brown,
Anziani rispettati ei miei cari fratelli e sorelle;
Oggi, è un onore per me essere di nuovo a parlare dopo un lungo periodo di tempo. Essere qui con queste persone oneste è un grande momento nella mia vita.
Non so da dove cominciare il mio discorso. Non so cosa la gente si sarebbe aspettata che dicessi.
Ma prima di tutto, grazie a Dio, per il quale siamo tutti uguali, e grazie a tutti coloro che hanno pregato per il mio veloce recupero e una nuova vita.
Non riesco a credere quanto amore le persone mi hanno dimostrato. Ho ricevuto migliaia di biglietti di auguri e regali da tutto il mondo. Grazie a tutti voi. Grazie per i bambini, le cui parole innocenti mi hanno incoraggiato. Grazie ai miei genitori, le cui preghiere mi hanno dato forza.
Vorrei ringraziare i miei infermieri, i medici e tutto il personale degli ospedali in Pakistan e Regno Unito e il governo degli Emirati Arabi Uniti che mi hanno aiutato a stare meglio e riprendere le forze. Supporto pienamente il signor Ban Ki-moon Segretario generale nella sua “Prima Iniziativa del Global Education (Istruzione globale)” e il lavoro dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Gordon Brown. E li ringrazio entrambi per la leadership continuano a dare (a questa inziativa). Essi continuano ad ispirare tutti noi all'azione.
Cari fratelli e sorelle, bisogna ricordare una cosa. Il giorno di Malala non è il mio giorno. Oggi è il giorno di ogni donna, di ogni ragazzo e di ogni ragazza che hanno alzato la voce per i loro diritti. Ci sono centinaia di attivisti per i diritti umani e sociali che propongono non solo di parlare per i diritti umani, ma che stanno lottando per raggiungere i loro obiettivi di istruzione, pace e uguaglianza. Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e milioni sono stati feriti. Sono solo uno di loro.
Così eccomi qui ... una ragazza tra i tanti.
Parlo, non per me, ma per tutti i ragazzi e le ragazze.
Alzo la mia voce, non affinchè io possa gridare, ma perchè coloro che non hanno una voce possa essere ascoltato.
Coloro che hanno lottato per i loro diritti:
E’ loro diritto vivere in pace.
E’ loro diritto essere trattati con dignità.
E’ loro diritto la parità di opportunità.
E’ loro diritto essere educati.
Cari amici, il 9 ottobre 2012, i talebani mi ha sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che i proiettili ci avrebbero fatto tacere. Ma hanno fallito. E invece, da quel silenzio, sono uscite migliaia di voci. I terroristi pensavano che avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni, ma nulla è cambiato nella mia vita, tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morti. Sono nate forza, potenza e coraggio. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Le mie speranze sono le stesse. I miei sogni sono gli stessi!
Cari fratelli e sorelle, io non sono contro nessuno. Né sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i talebani o qualsiasi altro gruppo di terroristi. Sono qui a parlare per il diritto all'istruzione di tutti i bambini. Voglio l'istruzione per i figli e le figlie di tutti gli estremisti, soprattutto dei talebani.
Invece, non odio nemmeno il Talib che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli si trovasse di fronte a me. Io non gli avrei sparato. Questa è la compassione che ho imparato da Maometto, il profeta della misericordia, Gesù Cristo e Buddha. Questa è l'eredità di cambiamento che ho ereditato da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammad Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-violenza che ho imparato da Gandhi Jee, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mia madre e mio padre. Questo è ciò che la mia anima mi dice, essere in pace ed amare tutti.
Cari fratelli e sorelle, ci rendiamo conto dell'importanza della luce quando vediamo tenebre. Ci rendiamo conto dell'importanza della nostra voce quando ci vogliono costringere a tacere. Allo stesso modo, quando eravamo in Swat, nel nord del Pakistan, abbiamo capito l'importanza della penna e dei libri quando abbiamo visto i cannoni.
Il saggio disse: "La penna è più potente spada" era vero. Gli estremisti hanno paura di libri e penne. Il potere dell'istruzione li spaventa. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Ed è per questo che hanno ucciso 14 studenti di medicina innocenti nel recente attentato a Quetta. Ed è per questo che hanno ucciso molte insegnanti donne e addetti alla vaccinazione antipolio nel Khyber Pukhtoon Khwa e FATA. Questo è il motivo per cui stanno facendo saltare le scuole ogni giorno. Perché avevano ed hanno paura del cambiamento, paura dell’uguaglianza che porteremo nella nostra società.
Mi ricordo che c'era un ragazzo della nostra scuola al quale un giornalista ha chiesto: "Perché i talebani sono contro l'istruzione?" Lui ha risposto in modo molto semplice. Indicando il suo libro, ha detto, "Un Talib non sa quello che è scritto all'interno di questo libro." Pensano che Dio sia un sottile, piccolo essere conservatore che avrebbe mandato le ragazze a l'inferno solo perché sono andate a scuola”. I terroristi utilizzano il nome dell'Islam e della società pashtun per i propri benefici personali. Il Pakistan è un paese democratico che ama la pace. I pashtun vogliono l’istruzione per i loro figli e le loro figlie. E l'Islam è una religione di pace, di umanità e fratellanza. L'Islam dice che non è soltanto un diritto per ogni bambino avere l'istruzione, ma piuttosto è un loro dovere ed una loro responsabilità.

Onorevole Segretario Generale, la pace è necessaria per l'istruzione. In molte parti del mondo, in particolare il Pakistan e l'Afghanistan, il terrorismo, le guerre e i conflitti impediscono ai bambini di andare a scuola. Siamo veramente stanchi di queste guerre. Donne e bambini soffrono in molte parti del mondo in molti modi. In India, i bambini innocenti e poveri sono vittime del lavoro minorile. Molte scuole sono state distrutte in Nigeria. Il popolo in Afghanistan è stato ostacolato dall’estremismo per decenni. Giovani ragazze devono sottostare al lavoro domestico minorile e sono costrette a sposarsi in età precoce. La povertà, l'ignoranza, l'ingiustizia, il razzismo e la privazione dei diritti fondamentali sono i principali problemi affrontati da uomini e donne.
Cari compagni, oggi mi sto concentrando sui diritti delle donne e l'istruzione delle ragazze, perché stanno soffrendo di più. C'è stato un tempo in cui le donne attiviste sociali hanno chiesto agli uomini a difendere i loro diritti. Ma, questa volta, lo faremo noi stesse. Io non sto dicendo agli uomini di smettere di parlare dei diritti delle donne, piuttosto mi sto concentrando sulle donne perchè siano indipendenti e combattano per se stesse.
Cari fratelli e sorelle, ora è il momento di parlare.
Così oggi, invitiamo i leader mondiali a cambiare le loro strategie politiche a favore della pace e della prosperità.
Chiediamo ai leader mondiali che tutte gli accordi di pace devono tutelare le donne ei diritti dei bambini. Un accordo che va contro la dignità delle donne e dei loro diritti è inaccettabile.
Facciamo appello a tutti i governi di garantire l'istruzione obbligatoria e gratuita per tutti i bambini di tutto il mondo.
Facciamo appello a tutti i governi affinchè si oppongano al terrorismo ed alla violenza, per proteggere i bambini dalla brutalità e dal male.
Invitiamo le nazioni sviluppate a supportare l'espansione delle politiche per l’istruzione a favore delle ragazze nel mondo in via di sviluppo.
Facciamo appello a tutte le comunità affinchè siano tolleranti, per respingere i pregiudizi basato su casta, credo, setta, religione o sesso. Per assicurare la libertà e l'uguaglianza delle donne in modo che possano prosperare. Non possiamo avere tutti successo quando la metà di noi è tenuta nell’ignoranza.
Invitiamo le nostre sorelle di tutto il mondo ad essere coraggiose, per abbracciare la forza in se stesse e realizzare il loro pieno potenziale.
Cari fratelli e sorelle, vogliamo scuole e istruzione per il futuro luminoso di ogni bambino. Continueremo il nostro viaggio verso la nostra destinazione di pace e di istruzione per tutti. Nessuno ci può fermare. Parleremo per i nostri diritti e porteremo il cambiamento attraverso la nostra voce. Dobbiamo credere nel potere e nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo.
Perché siamo uniti tutti insieme per la causa dell’istruzione. E se vogliamo raggiungere il nostro obiettivo, allora lasciate che rendiamo più forti noi stessi con l'arma della conoscenza e lasciate che proteggiamo noi stessi con lo scudo dell'unità e della solidarietà.
Cari fratelli e sorelle, non dobbiamo dimenticare che milioni di persone soffrono la povertà, l'ingiustizia e l'ignoranza. Non dobbiamo dimenticare che milioni di bambini non vanno a scuola. Non dobbiamo dimenticare che i nostri fratelli e sorelle sono in attesa di un futuro di pace radioso.
Cerchiamo quindi di condurre una lotta globale contro l'analfabetismo, la povertà e il terrorismo e lasciateci prendere in mano i nostri libri e penne. Sono le nostre armi più potenti.
Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo.
L'istruzione è l'unica soluzione.
Education First !