29 nov 2012

IL CAVALIERE SOLITARIO

PIOGGIA A ROMA


La pioggia lava le strade della città, lava i tetti, pulisce, consola, consuma...
I fiumi ai margini delle vie si tuffano nel grande mare dell'abisso su cui galleggia il mondo metropolitano.
Bocche spalancate, nere voragini che sprofondano nel nulla che si offre alla vista, si aprono all'improvviso, lungo le rive di quei fiumi, per inghiottire la flotta di relitti galleggianti che fuggono via impazziti, terrorizzati, per non farsi catturare dal destino che li vuole trasformare in rifiuti da depositare in cimiteri vasti come continenti.
Nel cielo impazzano, come pesanti avvoltoi neri, nuvole gonfie d'acqua spinte da potenti diesel Boeing.
Con rombi che paiono cannonate, gli stormi di nuvole nere sganciano pesanti bombe di piombo scuro sul corpo ormai inerte della città.
Come raffiche di mitraglia, le sferzanti scariche di gocce che feriscono la terra, fanno versare fiumi di lacrime  ai mille occhi vitrei che guardano, sbarrati, dai fianchi dei palazzi madidi e tremanti, il tenebroso cielo di guerra.
Il corpo nudo della terra giace, ormai, inerte.
Mille frecce di fuoco lo hanno trafitto mentre i mille mostri che abitano gli incubi delle solitarie strade cittadine lo tenevano inchiodato ad un alto traliccio piantato sulla lingua d'asfalto che la pioggia adesso sta lavando.
Quegli esseri mostruosi che, poco per volta, si divorano la luce che illumina la città, l'hanno tenuta legata  per l'intera eternità della tempesta all'alta croce d'acciaio arrugginito che svetta sulla cima del calvario su cui, ora, si riversa l'ira del cielo.
L'hanno avvinta in chilometri di cavi nei quali avevano crudelmente imprigionato l'energia baluginante del fulmine.
Poi, hanno affondato i loro chiodi acuminati con colpi duri di mazza, che hanno risuonato come i rintocchi del destino sotto la volta del cielo nero.
Finchè è giunto un cavaliere solitario, rivestito della pesante corazza delle tenebre, avvolto in un manto di tormenta, armato di fuoco e di sferza.
Nella mano sinistra, le vampe si dimenavano come belve impazzite.
Il pugno forte, stretto nell'incandescente morsa dell'impavido guanto,a stento tratteneva  le lingue serpeggianti delle saette catturate dal cielo.
Nella destra i vortici della bufera ruggivano senza riuscire a liberarsi.
La loro frusta lanciava sibili acuti che spezzavano il silenzio irreale del creato che assisteva, raggelato, all'arrivo della creatura sconosciuta.
Veniva da altri mondi, aveva attraversato le dimensioni nascoste del cuore, aveva combattuto contro i demoni della paura e dell'angoscia, aveva banchettato con gli angeli che abitano il giardino della felicità.
Davanti al suo destriero rombante, i mostri della città si sono ritirati nei loro antri oscuri, inghiottiti dalla pece nera che cadeva dal cielo.
Nessuno ha osato opporsi allo sconosciuto che, dopo aver riposto le sue orribili armi, con un pietoso gesto d'amore, ha raccolto la sfinita sagoma del corpo appeso in cima alla ferrea croce.
Il corpo della terra ha avuto un fremito, mentre dai suoi capelli, bruniti come le stoppie nelle sere d'autunno, stillavano le ultime gocce di linfa.
La brina guardava da lontano, ancora il suo tempo non era arrivato e già era giunta la fine del mondo.
La pallida neve, in disparte, piangeva in silenzio trasformandosi in pioggia che subito veniva assorbita dai rivoli gorgoglianti che correvano a precipizio dalla cima del calvario.
Con composta regalità, il solitario viaggiatore ha deposto il corpo su un materasso di lieve aria sottile.
L'acqua ha continuato a precipitare dal cielo nero durante tutto il funereo rito pietoso.
Le case, ai margini delle vie, si sono ritirate per lasciare spazio alla furia degli elementi.
Resta solo il cielo feroce.
La pioggia porta la furia degli elementi primordiali della creazione.
Il vento scompiglia l'ordine delle cose inutilmente intrecciate in ghirlande che portiamo al collo come collane, trofei delle nostre conquiste.
Restiamo soli, dinanzi a questo spettacolo che si svolge sul palcoscenico della città, dietro il sipario dei vetri della finestra.
Non so se sono loro che stanno piangendo in silenzio.
Nella strada, ormai, il cavaliere è sparito, ingoiato anche lui dal molle manto del buio.
Mi guardano da sotto, gli occhi strabuzzati dei fari di una macchina che gira l'angolo per venire verso di me.
Poi gira indecisa.
Non ha una vera destinazione.
Segue l'istinto.
Come il fiume che corre al centro della via.
Un'oscura gola lo inghiottirà, appena la lingua d'asfalto avrà finito di compiere il suo gesto che accompagna la fine del mondo.
Non resterà più niente, quando anche il lampione che pigro illumina l'angolo laggiù si sarà stancato e sarà andato a dormire.
Stasera le stelle non guardano quaggiù.
E neanche la luna.
Il grande schermo del cinema cosmico proietta film più luminosi in qualche altra galassia.
Quaggiù non resta altro che aprire l'ombrello.
E, sotto la sua protezione, addormentarsi finchè il caso non svegli la stella che veglia sulla nostra esistenza.

4 commenti:

  1. Terribile ed efficace questo tuo racconto.
    Quello che riesci a vedere in un momento di rabbia della natura...
    mi sorprendi sempre...
    Mi piace questo tuo modo di personificare tutti gli elementi in gioco, trasporta in una dimensione surreale ed emozionante.
    Leggendo, si "gioca" ad individuare le immagini del tuo mondo parallelo nel mondo reale. E' come guardare lo stesso film girato in due modalità diverse ma assolutamente coerenti e compenetrate.

    Sembra che in questo periodo la natura sia un po' sull'incazzato... Anche qui, fiumi sotto controllo, fossi stracolmi sempre sul punto di tracimare e anche ora, mentre sto scrivendo un vento cattivo ci scuote e acqua...acqua...acqua...
    Ciao Piero, buona domenica

    RispondiElimina
  2. Se tu fossi nato al tempo degli antichi romani saresti stato un Catone, veemente ed integerrimo...ciao.

    RispondiElimina
  3. Cara Patrizia,
    grazie davvero.
    Raccontare mi piace; perchè raccontare è scoprire, costruire, immaginare, meravigliarsi...

    Si, la natura sta sull'incazzato forte.
    Ma ci lamentavamo anche quando si diceva che non c'erano più le mezze stagioni.
    In fondo la natura fa quel che gli pare.
    Noi la stuzzichiamo, l'avveleniamo, la facciamo ammalare...
    E lei, come doverosamente le appartiene, s'incazza e ci spazza via.

    Ma della natura è la grandiosità, quello che mi colpisce.
    Al suo confronto, l'uomo è un'inezia, un incidente di percorso.
    Ma l'uomo è anche un elemento - l'unico elemento - che ha la possibilità di mettersi di fronte alla natura e sfidarla.
    Non parlo delle sfide che comportano il bieco sfruttamento della natura.
    Certo, quello c'è ed è il modo peggiore con cui l'uomo di rapporta a quel cavaliere cosi potente.
    E' il modo bestiale con cui l'uomo si presenta al mondo, il modo più infantile, più stupido.
    Ma l'uomo, a ben guardare, si pone davanti a quel cavaliere anche in un altro modo, da combattente leale, da progettista e costruttore del proprio destino.
    L'uomo, in questo senso, è il Pensiero.
    Non ce ne possiamo e no n ce ne dobbiamo dimenticare.
    Il Pensiero.

    Un abbraccio,
    Piero

    RispondiElimina
  4. Paoletta,
    io un Catone?
    Veemente?
    Deve essermi sfuggita di mano la... penna/tastiera...
    La lotta era nel cielo, la veemenza era degli elementi che si combattevano davanti ai miei occhi, fuori dalla finestra...
    Loro, loro, saranno stati dei Catoni...

    Io, solo, .... ti abbraccio,
    Piero

    RispondiElimina

I commenti sono graditi