13 feb 2013

IL VECCHIO PAPA

Georges de La Tour, «San Giuseppe falegname»



Nella penombra, il volto pallido del vecchio si è alza verso il cielo.
La semioscurità mi impedisce di guardarlo bene negli occhi.
Non riesco a capire cosa vuole il suo cuore.
Quale desiderio lo anima ancora, quale timore lo agita?

Da quassù non riesco a vederlo tanto bene, nè sento bene la sua voce.
E' vecchio, questo lo capisco. 
Quando è entrato, il suo passo era malfermo, un poco incerto.
Era quasi titubante. Oppure era solo debole, stanco.

E' così che capita ai vecchi uomini stanchi? Non sanno decidersi.
Tremano anche di fronte alla propria ombra, figurarsi, poi, se hanno un peso sul cuore.
E lui, questo povero vecchio che si rivolge a me, lo sento, ha un gran peso sul cuore.
Devo fare attenzione, smuovere le ombre, mandare un segno, ascoltare bene, molto bene.

Le labbra del vecchio mormorano qualcosa, si muovono come se tremassero.
La litania sommessa della voce sembra incespicare sulle parole.
Il volto pallido rivolto al cielo è aperto, ma non riesco a guardare dentro, fino in fondo a quegli occhi.
Dietro gli occhiali squadrati, lo sguardo è sveglio, intelligente, vivido.

Sono troppo in alto, sono invecchiato troppo anche io.
Non sento più bene, forse sono diventato sordo.
Cosa mi sta chiedendo il povero vecchio vestito di bianco, in ginocchio, cosa mai può volere, lui?
Quel viso mi è familiare, è dolce e timido, sembra parlarmi d'un amore lontano...

Poche sillabe, lentamente, si alzano dalle labbra verso il crocefisso innalzato sull'altare.
Nella grande aula silenziosa riecheggia quel mormorio, resta sospeso, incerto sulla direzione da prendere.
La voce sembra gorgogliare, nella gola, come la sacra sorgente che gorgoglia nelle viscere dell'antica chiesa.
Il suono profondo della terra e quello antico della vita hanno la stessa intensa tonalità sacrale dell'eterno.

L'ombra, a poco a poco, si tinge di una tenue bolla di luce che fluttua sotto il soffitto perso nel buio.
Il chiarore si diffonde come una macchia evanescente. Resta sospeso sopra la testa del vecchio.
Si percepisce il qualcosa che abita al centro di quel bagliore. Il vecchio, incerto, non può sapere cos'è.
Non ha occhi per distinguere angeli del Dio da fantasmi del demonio. La salvezza  dalla condanna.

L'ombra mi aiuta a tenermi nascosto. I suoi occhi di vecchio non vedono qui dentro.
Invisibile, devo scrutare il suo cuore stanco, scendere nella sua povera anima. 
Mi devo sporcare nel suo sguardo. Devo annegare nella sua voce. Farmi carne. Carne della sua carne.
Io, Padre e Creatore di ogni creatura, devo farmi creatura, figlio della carne rattrappita.

Il viaggio è lungo. Un timore incerto scuote il passo malfermo del vecchio Dio. L'Ora attraversa l'oscurità densa.
Il chiarore annera e, nel nero della notte lenta, il Verbo del Dio si fa povera carne.
Lo sguardo del vecchio Creatore s'è fatto stanco, quando s'è appoggiato al bastone ritorto del suo vecchio vicario.
S'è persa la grandezza del Dio, in un istante soltanto, nuda è restata, di fronte alla nuda vecchiaia.

Il pensiero del Dio s'è tutto rivolto al vecchio papa in ginocchio.
Ha cominciato a spogliarsi lentamente, il povero vecchio, tremando.
I sacri paramenti, uno ad uno, sono caduti, tremanti, sulla nuda terra.
I recessi più intimi del corpo morso impietosamente dagli anni si sono denudati di fronte agli occhi del Dio.

Lo sguardo di un Dio può infuocare la carne di un uomo, può penetrarla, come un lampo nel buio.
Quella luce può incenerire, consumare, annientare, annichilire.
Di fronte al nudo corpo della vita che s'è fatta secco ramo, ormai, senza foglie, lo sguardo del Dio esita.
Nulla, più, è possibile di fronte all'inevitabile. Impotente, il Dio.  L'ineluttabile s'è realizzato.

Il vecchio, tremante, nel gelo della notte, cieco nella solitudine della grande chiesa tonante, piange.
Nel muto silenzio, si consuma il tempo, s'empie di lacrime.
Piangono in due, senza vedersi l'un l'altro, il papa vecchio e il vecchio Dio.
Senza nubi di angeli, senza le schiere beate, anche il vecchio Dio s'è spogliato, lì, nel buio della nuda chiesa.

Il vecchio papa non ha più occhi per vedere, o voce per chiedere.
Il suo desiderio è debole, ormai, come la sua carne che cede all'offesa del tempo. Oh, in pace morire!
Trovare lì, per sempre, la pace. Eterna. Lì, nel grembo oscuro.
Lì, nel grembo che ha nutrito, materno, la sua fede come quello materno, un tempo, fece con lui.

Il Dio, sordo, e cieco, ormai invisibile, s'è perduto nel buio.
Il suo desiderio è di sovvertire le terribili regole che ha dato alla vita.
Il suo cuore di vecchio Dio prova la pietà infinita, l'incolmabile vuoto, la disperazione che non si consola.
Il suo destino di Dio inflessibile l'incatena alla roccia dei suoi comandamenti, duri giuramenti indissolubili.

Sono diventato vecchio, Padre mio, ormai non posso più tenere acceso il lume che un giorno tu m'affidasti.
Devo lasciare che si spenga. Tu, Padre pietoso, troverai, pure, qualcuno che sappia curarne la fiamma.
Io devo lasciare questi abiti, questa terra, questa vita. Sei tu a comandare che sia fatta la tua volontà.
Io, figlio obbediente, posso solo obbedire, non maledire, tu mi facesti fragile fiamma che si consuma.

Povero vecchio, son'Io ad elemosinare perdono da te, io ho lasciato la tua debole fiamma languire.
Io, che conosco le leggi che non si consumano, ho lasciato seccare il tuo legno, l'ho lasciato marcire.
Io che potevo comandare alla Fine di obbedirMi, t'ho fatto figlio che muore prima del padre.
Io che ho messo nel mondo il vero dolore, devo, ora, innanzi a te inginocchiarmi.

Son io a chiedere a te il tuo perdono, vecchio figlio che stai per partire.
Io, l'eterno Padre onnipotente, incapace di dare sollievo al dolore, alla carne che si consuma.
Ti sia felice il viaggio nelle Tenebre che hai cominciato, povero figlio che ha brillato, splendente, di luce.
A te chiedo, figlio Mio, uomo, fatto per consumarsi, brace che sta per farsi nera cenere fredda, tu, dammi luce, ora, portami l'ultima calda scintilla della tua fiamma!

4 commenti:

  1. Tu che abiti a Roma sei rimasto certamente più colpito dalle dimissioni del Papa, certo è un evento epocale, io mi chiedo quali intrallazzi si svolgano dietro le quinte...c'è chi ha detto che è stata una mazzata ai tedeschi a favore degli Usa, sempre con lo sfondo della finanza internazionale...mah.

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  2. Non so, ovviamente, cosa succeda nelle segrete stanze d'oltretevere.
    Certo, in questo tempo fatto di eventi che si consumano veloci e che non lasciano tracce nelle nostre memorie, neanche quando sono eventi di tragedia tremenda, questo evento ha un sapore d'antico, d'eterno... mi dà l'impressione di qualcosa che non si consuma.

    Poi, io non ho un gran rapporto con la chiesa.
    Ma, infine, la debolezza del papa che si mostra così in pubblico, si ostenta fino alla conseguenza più estrema, mi sembra una vera rivoluzione per quella istituzione che aveva addirittura adottato il dogma dell'infallibilità papale.
    Trovi che ci sia un errore più grave dell'errore del corpo che non regge al peso del compito da assolvere?

    Un abbraccio
    Piero

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  3. Faccio fatica a commentare questo tuo scritto. Colgo. almeno così credo, le metafore con cui forse hai voluto comunicare alcuni pensieri. Quell'uso della prima persona, quasi che quel dio che narra fossi tu stesso e con te l'uomo in generale. Quel vecchio che non sa distinguere gli angeli dai demoni, figura dell'assurdo dogma dell'infallibilità?
    E quella preghiera finale che mi suona come una supplica che l'uomo fa a se stesso, una richiesta estrema di ritrovare o trovare forse per la prima volta, una luce intravista ma mai veramente accolta. Questi i tre punti che più mi hanno colpito.
    Non sono sicura d'aver compreso le tue vere intenzioni, i tuoi veri pensieri mentre scrivevi questo racconto. Ma non so perchè...ma questa figura, mi suscita pietà. Per un individuo e per tutti noi.
    Un abbraccio

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  4. Non è molto travestito da metafora, questo scritto, amica mia.
    E' un racconto piuttosto diretto, ma forse poco chiaro.
    Una specie di narrazione per quadri.
    Un dialogo fra due che forse non si vedono.
    Un vecchio papa, un corpo debole, un uomo di fede che si spoglia perchè ha finito la sua energia.
    Energia fisica e mentale.
    E un uomo senza energie fisiche e mentali è una fiamma che si spegne, è fredda cenere nera.
    Ma resta ancora pur sempre vivo, e quel calore che circola in un corpo vivo è l'oggetto della preghiera finale del vecchio Dio.
    Il dio che, di fronte al disarmo del corpo che lo ha rappresentato in terra, resta solo, impotente perchè imprigionato dalla sua stessa volontà creatrice che ha generato la vita, traendola dal nulla (ma qui non se ne parla), ma anche la morte (soggetto temuto, non esplicito, del racconto).

    Si, mi ha colpito la storia di questi giorni della rinunzia del papa.
    E io mi sono immaginato il colloquio alla maniera di don camillo nella sua chiesa buia...
    solo che qui il buio è più tetro, la solitudine più sorda, il Dio più solo e disperato...
    Il vecchio papa è rassegnato, forse è sereno, addirittura forse sa di avere vissuto e di avere ancora qualche briciola da vivere, è consapevole del grande dono che è la vita, fino all'ultima goccia...
    Ma è anche cieco, perchè il dialogo con il suo Dio è monco, è come un sogno perenne, condannato a restare incompiuto.
    E questa imperfezione incurabile affligge tutti e due i vecchi, consapevoli che la vecchiaia porta solitudine e richiede rispetto, ma soprattutto pietà...

    Tra i due, però, l'uomo che invecchia è più preparato ad affrontare il suo destino. Il Dio resta sorpreso del significato che ha messo nella vita, lui non può capirla, immerso com'è nel suo immane compito divino... ma quando si trova di fronte all'inevitabile... il suo cuore di Padre tentenna, si scuote, tenta di ribellarsi... ma non può più fare nulla... deve sottomettersi al suo ruolo che egli è l'unico a non poter infrangere.
    Il suo desiderio, il suo naturale, infinito bisogno d'amore, l'amore di un padre per le sue creature, di fronte al suo figlio terreno più vicino, più visibile, più diretto... ecco, allora anche il Dio conosce il pianto, il dolore, la paura della sconfitta...
    E comincia a pregare.
    Perchè resta sempre la speranza...

    Anche chi non sa pregare conosce la speranza.
    La speranza è ciò che tiene in vita ogni essere, che impedisce di accettare la sconfitta indubitabile...
    La sola differenza fra la preghiera e la speranza è la forma, una questione di poca/relativa importanza.
    Pregare il Dio vuol dire sperare che Egli ti veda e decida di aiutarti.
    Sperare è desidera che un aiuto arrivi, in qualche modo...
    E dio, che pregare non può - e forse in questo modo perde la sua perfezione assoluta - può solo sperare.
    Ma, abituato com'è a frequentare le cose di chiesa, si confonde, e chiama col nome di preghiera la sua sola speranza.
    Ma è un errore veniale.
    Un confondersi per un istante.
    Usare una forma al posto di un'altra...

    Un saluto,
    Piero

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