24 feb 2013

LA FIABA DEL CIECO


photo by pierperrone


Camminavo per le vie della città, svagato.
Sai, quei giorni che le gambe sono un pò flosce, senza una vera ragione. 
Forse saranno stanche anche loro, chissà cosa gli passa per la testa.
Camminavo per le solite vie, quelle di sempre, e andavo con la testa persa in chissà quali pensieri.
A volte sono quelli ad andarsene in giro da soli, senza chiedere il permesso, senza neanche avvisare.
Io il permesso, l'avevo chiesto, invece, prima di uscire.
La testa mi faceva un pò male, forse era il gran vuoto, il senso di stanchezza, la noia, l'essersi perso...
Le tempie battevano, educatamente a dire il vero, come se chiedessero di dire qualcosa.
Ma io non stavo mica a sentirle.
E chè, non avevo voglia di niente, solo di andarmene, le mani sprofondate nel fondo delle tasche, sul tappeto mobile di una via qualunque.

Per fortuna in questa città ci sono tante strade e ognuna conduce da qualche parte, rimuginavo nella mia mente sovrappensiero, un poco svanita e un poco distratta.
"Si crede che sia così", mi ha detto una voce, garbatamente.
Oh, beh, inizialmente non pensavo che si rivolgesse a me.
"Si crede che sia così, che ogni strada porti da qualche parte", mi sono sentito ripetere, con un pò più di fermezza nella voce che si era fatta più alta.
Ma sempre con molto garbo.
"Eh, beh, ha ragione, tutti credono che sia proprio in questo modo, che ogni strada conduca in qualche posto", ho detto io, annuendo col capo, il mio gesto amplificato dal largo cappello a falde che fendeva l'aria orgoglioso della raggiunta rotondità.
"Eh, è facile. Basta seguire una strada, anche una lunga e diritta, una di quelle che non sembrano avere uno sbocco, imbottigliate fra la quinta di fondo di uno scenario urbano qualsiasi ed i larghi palazzoni alti e compatti come muraglie inespugnabili."
"Ma che bel modo di descrivere che ha, mia cara", ho risposto, così, tanto per dire qualcosa.
Un pò complimentoso e un poco servile.
"Basta andare. E basta ancora meno, proprio come sta facendo ora lei, che cammina sopvrappensiero".
"Cosa?", ho chiesto, ma più così, tanto per non essere sgarbato fino in fondo.
"Ma lei lo sa dove sta andando? Mi dica, se lo sa, dove porta questa strada?"

Da qualche parte, ho pensato, trasecolando, sorpreso.
Ma perdìo, ogni strada porta da qualche parte.
Il punto è sapere dove si trova questa qualche parte a cui conduce questa strada.
Io per esempio so che ogni passo mi porta da qualche parte, potrei girare da questo lato, così, tanto per vedere a chi appartiene questa voce.
O potrei girare sui tacchi, tornare da qualche parte, di dove sono venuto...
"Si, ogni passo conduce da qualche parte, signore. Ha ragione", la voce adesso voleva concedere qualcosa, per essere cortese.
Ma io la temevo, sapevo che aveva un coltello in mezzo ai denti, pronto ad affondarmelo dritto in mezzo alla
schiena.
"Si, signore, proprio come lei sta pensando. Ora può girare da questa parte, per sfuggirmi, oppure girarsene sui tacchi per ritornarsene sui suoi propri passi."
A questo punto mi colse un'ansia incontenibile ma, insieme, molto sotterranea, come un brivido profondo, una scossa elettrica.
Cosa mai voleva dire quella voce che restava sospesa lì, al mio fianco?
E' vero, non avevo fatto tentativi per sfuggirle, ma neanche avevo agito per portarmela insieme a spasso per la strada.
Non provai l'impulso di voltare la direzione del mio cammino.
Ero forse presuntuoso?
Eppure mi pareva così oltremodo surreale che quella voce mi stesse piano piano facendo sua preda.

Cominciavo a sentirmi come un animale in trappola.
Aspettavo la prossima mossa temendone l'imminente arrivo.
Giunse un soffio di vento, leggero, tiepido, odoroso.
Improvvisa, una folata di vita si era intrufolata nella mia silenziosa passeggiata.
D'istinto feci un gesto, non so se per scacciarla o per afferrarla.
"Si afferri a quella maniglia, la prenda, la prenda. Quel soffio  è la sua vita che parte!", m'invitò con decisione la voce.
Lo sapevo, ecco quel'era stata la sua mossa.
Prevista, attesa, tenuta.
Eppure imprevedibile allo stesso tempo, come tutte le cose della vita.
E' giunto il momento che io faccia qualcosa, pensai scuotendo i miei pensieri.
Forza, decidetevi, voi, distratte volontà, fate qualcosa.
Posso voltare i passi da un'altra parte.
Oppure posso essere più originale, alzare gli occhi, guardare, ora, dove sono giunto, in questa cieca passeggiata, smentire con un attimo di identificazione ogni cattivo pensiero di questa voce malfidata.
Potrei anche chiedere a lei, se sa, mica, dove si trova, ora che sbruffoneggia contro di me, come fosse un vigile urbano che eleva, arrogante, la sua contravvenzione contro tutte le direzioni sbagliate della vita.
Potrei anche scacciarla in malomodo, come si scaccia una petulante mosca estiva, o schiacciarla, come una schizzinosa zanzara...

Il mare delle possibilità mi si spalancò davanti all'improvviso, con i suoi gorghi, le sue profondità sconosciute, le sue infinite possibilità di perdersi...
Decidere.
Ecco.
Questo era il compito.
Decidere dove andare, qualcosa da volere, qualcosa da fare.
I miei pensieri e le mie volontà hanno disertato.
Constato con tutta evidenza che ormai, dato che la leva obbligatoria è stata abolita, nei fortilizi militarizzati dei miei pensieri non è rimasto nessuno a difendere le mie postazioni.
Anche i miei passi, ormai, arrancavano, più annoiati che stanchi.
Era come il lento raffreddarsi del passo si una locomotiva.
Il marciapiede, diritto come un binario, mi conduceva sicuro, ma il mio treno non era segnato sull'orario appeso alla stazione.
E neanche la stazione si vedeva, ancora, affacciarsi all'orizzonte, con i suoi fazzoletti sventolati malinconicamente, i suoi singhiozzi, le sue speranze, i suoi sogni...
Una comitiva chiassosa schiamazzava poco lontano, ma ero sicuro che non erano loro i miei compagni di viaggio, nello scompartimento che stavo occupando forse senza biglietto.

Vedevo i pesanti sbuffi di caligine sputati dal comignolo della locomotiva che lenta stava ripartendo svanire poco a poco, farsi parte di quello, grigie nubi rigonfie di vapore grasso che entravano nel grande flusso del tempo.
Lo spazio si era fatto sempre più basso, sotto quella cappa pesante.
La luce del giorno s'infiacchiva sempre di più, come il mio desiderio di andarmene in giro a passeggio.
Avevo notato troppi dettagli.
Per un cieco è uno sforzo che può costare un'intera giornata.
Volevo chiedere scusa e svanire, anch'io, nell'ombra in cui stava svanendo il fumo della locomotiva a vapore che ormai era diventata un puntino nero perso nel punto di fuga della prospettiva di una vita annegata nel buio.
I miei passi distratti s'erano, me ne accorgevo, fatti accorti.
Avevo paura.
Il piede esitava.
L'esitazione stavolta era il terrore che il vuoto l'ingoiasse portandosi appresso tutto me stesso in quel vasto mare che non riesco neanche a vedere.
Sono cieco.
Dalla nascita.
Non ho mai visto il colore di un fiore.

Io sono cieco, si.
Ho sempre camminato così, distrattamente, senza vedere.
Sono una marionetta, un pupazzo, una speciale bambola senza fili.
Un meccanismo senza ingranaggi.
"Io sono cieco", ho urlato.
La mia voce ha dato sulla voce alla voce.
Disperatamente.
Il silenzio dei sordi all'improvviso s'è spalancato come un baratro, davanti alla mia bocca.
La mia voce s'è inabissata in fondo a quel vuoto.
Ora sono sordo.
Ho pensato.
Perdutamente.
Sono un aquilone che sbatte le ali, distratto. Sono una cometa che vaga nel cielo bruciato.
Non so se l'ho pensato o se l'immaginazione mi ha ingannato anche stavolta.
Camminando nel vuoto ho imparato a tenermi sospeso nell'aria.
Sono leggero.
Solo una voce, ogni tanto, mi fa compagnia nei momenti in cui passeggio distratto...

4 commenti:

  1. Diventi sempre più enigmatico... :-) Ma mi piace leggere queste tue fiabe e incontrarci tutte le emozioni umane. Come qui, che ci leggo la fatica della consapevolezza, le mille domande sulla vita e sul suo perchè. Un po' di amarezza, un po' di speranza: l'inevitabile altalena su cui tutti dondoliamo.
    Ciao...

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  2. So che la parola fiaba non è precisa.
    Racconti sarebbe già abbastanza, ma non mi piace molto, è troppo generico.
    Descrivere la vita, ecco questo voglio, ma la vita è troppo vasto, impossibile descriverla tutta, raccontarla come un semplice fatto.. ma io descrivo un attimo, un infinito attimo della vita.
    Attimo perchè a volte un pensiero dura anche meno di un attimo è come un scintilla quasi impercettibile... ma quante cose si porta appresso quella scintilla, tutta una chimica, delle sensazioni, degli stati d'animo, delle storie lunghe una vita e forse anche di più...
    Ecco raccontare questi lunghi attimi, gli attimi che si allargano dentro di noi, o fuori, è lo stesso, o meglio, a volte è lo stesso dire fuori o dentro...
    Come una poesia.
    Tu puoi capirmi, Patrizia.
    Una poesia che cos'è?
    Un istante, una sensazione, magari un fuggevole sguardo, o un ricordo o un desiderio... ma quanto ti dura dentro dell'attimo?
    Tu lo sai.
    Prova a darmi una risposta.

    Ecco.
    Non l'hai mai provata la sensazione di andare in giro come un cieco?
    Distrattamente sarebbe dire poco, troppo poco.
    Come un cieco, senza neanche sapere dove gira una strada, che direzione ha, dove porta, senza riconoscere quello che si ha davanti, anche se è il solito paesaggio urbano di sempre...
    Ecco, raccontare l'inutile... questo è un nome che mi piace.

    Un abbraccio
    Piero

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  3. OH! Raccontare l'inutile.... Mi piace, mi piace, mi piace! Raccontare quello che tutti vedono come inutile. Sai che questa frase mi aiuti? Dico davvero, mi aiuti in un momento in cui non riesco più a scrivere niente, perchè ho come la sensazione che quel che scrivo siano appunto, cose inutili. No, non perchè quasi:-) nessuno le legge, non è per questo. E' proprio la sensazione di sentire, provare, dire e scrivere cose inutili, perchè riguardano solo me e il mondo intero con le sue grandi cose,con la sua concretezza e razionalità, sia più importante sempre e comunque...

    Mi cos'è la poesia...non so Amico mio, è un attimo, certo, un istante di vita interiore che ti sommerge e ti rimane dentro, scolpito nelle parole che ha fatto nascere. Me lo sono chiesto anch'io tante volte ma non sono riuscita a darmi una risposta. E allora ho cercato quello che han detto poeti veri e tra tutto quello che ho letto, è diventato mio ciò che afferma Wislawa Szimborska:

    "La poesia -
    ma cos'è mai la poesia?
    Più d'una risposta incerta
    è stata già data in proposito.
    Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
    Come alla salvezza di un corrimano"

    Un sorriso a te.

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  4. ho letto un libro molto bello intitolato "la conquista dell'inutile", di Werner Herzog, il regista. Raccontava la storia di quando ha girato il film Fitzcarraldo... forse non te lo ricordi, con quel pazzo, Kinsky e la Cardinale... la storia di un sogno impossibile, fare passare una nave da una montagna nella giungla sudamericana, per raggiungere un altro ramo di un fiume per aprire una nuova rotta per i commerci... un film incredibile...
    Il libro l'ho scelto per il titolo, era incredibile... mi piaceva da morire... la conquista dell'inutile.
    Era anche un libro bello, di quante peripezie ci sono state per girare il film...

    Si raccontare l'inutile, dopo averlo conquistato, o per conquistarne un pezzo per volta...
    Ottimo obiettivo.
    Per te e per me.
    Un abbraccio

    Piero

    P.S.
    Tu lo sai, io credo che tu hai nel cuore un senso di poesia che trasforma le cose in sentimenti, i sentimenti in parole e le parole in cose.
    Se gli occhi del tuo cuore guardano ancora le cose, le tue parole continuerò a leggerle con il solito piacere e l'affetto che ti meriti.
    Non lasciarmi solo.

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