10 ago 2013

LO SCAMBIO

Photo by Pierperrone - Varsavia. Per strada


Ho deciso di noleggiare la mia macchina.
No.
Devo essere più preciso.
Voglio noleggiare la mia macchina.
Darla in affitto.
Almeno darla in prestito.
Almeno, che sia utile, alfine, a qualcuno.
Si!
Non è forse un buon proposito, questo?
Si, mi sembra una buona cosa.
In fondo, così, almeno, serve a qualcosa, questa macchina.
Invece, adesso, quella, la mia macchina, sta così, ferma, troppo spesso.
Sembra quasi insignificante, inutile, inutilizzabile, inservibile, superflua, vana...
E' persa, spenta.
Morta, quasi.
No, no, morta, questo proprio no.
Proprio morta, no.
Non posso dirlo.
E no.
Perchè altrimenti, cosa vorrei mai dare a nolo?

Ecco.
Arriva.
Me lo immagino.
Eccolo, il primo che ha letto l'inserzione.
Viene a chiedermi in prestito la macchina.
Io devo spiegarmi bene.
Devo essere  preciso.
A parte la questione del prezzo, il conquibus, la contropartita, il controvalore, la controprestazione... 
A parte questo dettaglio - importante, direte voi, ma io non saprei, forse, per me, non si tratta dell'aspetto più importante dello scambio - ecco, a parte questo, c'è la questione dei danni.
Si.
Questo è sicuramente più importante.
E' addirittura fondamentale.
Devo spiegargli che deve fare la massima attenzione.
Non deve provocare alcun danno, neppure minimo, alla mia macchina...
... una volta che l'ha presa prestito.
... o in affitto...
... o a nolo...
... o come vi pare.
Per me, poi, non conta tanto la differenza fra una forma e l'altra.
No.

Per me è fondamentale che ci sia qualcuno che abbia la voglia, il desiderio, addirittura piacere di mettersi nella mia macchina per farci un bel giro, con quella.
Si.
Uno che chieda di entrare nella mia macchina.
Uno che sia uno.
Uno... un altro.
Uno diverso.
Uno che non sia io.
Uno proprio altro.
Uno differente da me, si, un terzo, un estraneo, uno sconosciuto... un ignoto.
Uno che non ha mai visto prima, uno che non parla la mia lingua, uno che parla una lingua diversa, una lingua di cui non capisco neanche una parola, una lingua che non conosco, una lingua che ignoro totalmente...
Uno che quando parla sembra che barbagli, incomprensibilmente, mugugni, gorgogli o singulti ...
Uno muto, quasi.
Uno, magari, uno che non ami parlare affatto.
Uno che, così, non posso capirlo neanche per sbaglio.
Uno senza volto, senza occhi, senza espressione...
Uno senza odore, senza respiro...

Ecco.
M'immagino.
Arriva uno.
E' uno come tanti.
Uno che si confonde.
Uno senza segni particolari.
Ma è comunque uno che non potrei mai più riconoscere.
Neanche dopo, quando ritorna, per restituirmela, la macchina.
E' uno che, quando io insisto, dicendogli di non importunarmi, che non lo conosco, che deve lasciarmi perdere perchè io ho da fare qualcosa di importante, ma importante davvero, ecco, lui, quello, insiste anche a sua volta, si oppone, fa resistenza.
Ma lui lo fa perchè lui è uno preciso.
E' uno corretto, uno onesto.
Uno che restituisce sempre quello che non è suo, quello che ha preso in prestito.
Lui sente la necessità, il bisogno, l'obbligo, davvero, di dare indietro, necessariamente, le cose che non sono sue.
Lui vuole restituirmi la mia macchina, presa a nolo.
Ma io, quella macchina non la rivoglio più indietro perchè non sono più sicuro che quella sia davvero la mia macchina, dato che me la riporta uno che neanche conosco.
Ecco.

Allora, quello arriva.
E mi chiede:
"E' lei che vuole dare in prestito la macchina?"
Ed io:
"Si, signore.
Grazie per essere venuto.
Si, sono proprio io.
Voglio dare a nolo la mia macchina.
Vorrei darla proprio ad uno come lei".
E lui, a dirmi:
"Eccomi.
Sono venuto.
Come lei desiderava così intensamente".
Ed io gli chiedo:
"E perchè è venuto a pendere in prestito proprio la mia macchina?"
Ma, poi, io so che lui questa domanda proprio non se l'aspettava.
E, infatti, lui resta lì muto.
Con le mani in mano.
Fermo.
In attesa.
Di chissà che.
Immobile.
Immoto.
Spento.
Proprio come la mia macchina.
Ecco.

Adesso lo vedete?
Sta salendo sulla mia macchina.
Io ho dovuto scendere, prima, per fargli spazio.
Io ci vivo, nella mia macchina.
E' qualcosa di più che la mia casa.
E' qualcosa di molto di più.
E non è stata facile, quell'operazione di scendere dalla mia macchina.
Prima ho dovuto spiegargli l'importanza della clausola di salvaguardia dai danni.
Per me è tutto!
Come potrei salvarmi dal dolore, se quello, uno sconosciuto, uno qualsiasi, decidesse per volontà, o subendo, invece, a sua volta, la volontà del caso, dovesse provocargli dei danni, danneggiarmela, insomma, la mia macchina... magari irreversibilmente?
Ad un dolore così non potrei resistere.
Potrei non sopravvivere.

Non è che io sia uno sentimentale.
Uno che si affeziona facilmente.
Alle macchine, poi.
Meccanismi.
Carrozzerie.
Motori, rotori, bobine, giunti rotanti...
No.
Quella roba lì non fa parte delle cose che reputo tanto importanti, a cui tengo con tanta attenzione.
No.
Quelle sono macchine comuni, apparecchi destinati agli usi più svariati, protesi meccaniche del corpo umano.
Più che altro servono a sgravare l'uomo dalle fatiche.
Oppure vengono utilizzate per moltiplicarne in qualche modo le forze...
No.
A quelle cose non tengo.
Io tengo alla mia macchina.
La mia macchina è una macchina davvero speciale.
E' qualcosa di unico.
Qualcosa di eccezionale.

Uscire dalla mia macchina non è mai stato facile.
Neanche in questo caso lo è stato.
Uscire dalla mia macchina è come mettersi a nudo.
Come restare senza carcassa.
Come mandare l'anima in giro per il mondo senza il supporto di un corpo.
Si.
Ecco.
E quindi, immediatamente, se devo uscire dalla mia macchina, si manifesta la necessità di scambiare la mia macchina con un'altra, con la macchina del mio cliente.
Cliente.
Lo chiamo così per pura comodità, per dargli un nome, un titolo, una funzione, una motivazione...
Io...
Senza la mia macchina, io non esito.
Non potrei vivere, senza la mia macchina.
La mia macchina mi respira per me.
Si muove, ed io mi muovo con lei.
Illuminare il mondo che mi si para davanti ed i suoi occhi sono gli occhi con cui io stesso guardo il mondo che mi si para davanti.
La mia macchina mi permette di nascondermi, a volte.
Di fuggire.
Anche di scontrarmi con gli altri.
Di battermi per un posto, su questo strano mondo di macchine.
E mi permette anche altro, e altro e altro ancora...
Si.
La mia macchina, posso dire, è proprio me stesso.
Ma sento proprio il bisogno di darla in prestito, adesso, questa macchina, a qualcuno.
Si.
Di fare uno scambio.
Ecco.
Forse più che un nolo, voglio fare uno scambio.

Quando mi chiede la mia macchina, il mio cliente, io sono ancora libero di dire di no.
Ma lo dico così, per ipotesi, per convenzione.
Solo per dire che non c'è nessuna ragione reale a costringermi.
Non c'è qualcosa a forzarmi a fuggire.
No.
Posso ancora dire di no.
Ecco, diciamo così.
Potersi rifiutare.
E' una possibilità.
Una espressione della mia libera volontà.
La mia libertà di dire di no.
No alla morte.
Ecco, dire di no alla morte!
Ecco.
Questa si che è davvero la vera libertà.
Questa è la libertà più elevata, agognata solo dagli spiriti più alti.
Niente a che vedere con il sogno, o l'illusione, piuttosto, dell'immortalità.
Che forse sarebbe più una schiavitù senza fine che una libertà infinita.
No.

Essere libero di dire di no.
Dire di no, quando la morte arriva.
Potere scegliere.
A seconda.
Come mi piace.
Secondo quello che più mi aggrada in quel momento fatale.
Ecco.
Così come io, pur trovandomi nel bisogno di scambiare con qualcuno la mia macchina, mi riservo comunque la libertà di scegliere.
Di dire di no.
Si.
Perchè il mio non è un bisogno fatale, finale, assoluto, estremo, definitivo...
No.
Il mio bisogno è un bisogno di quelli, chiamiamoli così, corporali.

Scambiare la mia macchina con quella di un altro.
Ecco.
Si.
Eccolo.
Arriva, adesso, l'altro.
Il cliente.
Alto.
Abbastanza.
Lunghi capelli.
La sua macchina ha forme rotonde.
Provocante, inebria, ancheggia, si muove.
Percorre sinuose curve e tornanti che conducono alla valle della morte...
Pelletteria del candore della luna.
Calandra come una bocca di fuoco ciliegia.
Occhi come fanali, acuti come spilli.
Vastità, nel cuor del motore ...
E tanto, tanto, calore...
Ecco.

Si.
Ho deciso.
Lo scambio, ora, si può fare davvero.
Io gli cedo la mia.
E accedo alla sua.
Ci scambiamo le macchine come uno scambio dei corpi.
Uno che entra nell'altro.
Un vero atto d'amore.
Due corpi diversi che s'incontrano di sfuggita per strada.
E s'amano.
Uno scambio al motel.
Un'ora d'amore.

5 commenti:

  1. Anonimo7:28 PM

    Cercavo disperatamente di capire dove andare a parare, con tutti quegli improvvisi cambiamenti e ripensamenti che, una mente cervellotica riusciva a trascinarmi in direzioni sempre più confuse e, caotiche. Facendomi arrivare in un luogo dove non credevo di doverci arrivare, per uno scambio, risultato "facile" da fare.

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    1. Beh, anonimo, amico mio, comunque sei arrivato fino alla fine.
      Spero ti sia piaciuto.
      Piero

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    2. Anonimo10:00 PM

      ..Molto, veramente inizialmente credevo a qualche sciocco episodio di compravendita ma, rimaneva sempre in una caotica e differente interpretazione che, mi appassionava e coinvolgeva.

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  2. Grazie, ancora, davvero.
    Devi avere avuto una grande pazienza.
    Ed anche una curiosità divorante.

    ... Anonimo...
    Sei uno così.
    Uno che non riconoscerei mai.
    Nemmeno se mi restituissi un giorno la mia macchina...
    E' carina l'idea, no?

    Un saluto
    Piero

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  3. Beh, simbolicamente l'auto rappresenta il modo in cui porti avanti la tua vita, sessualmente il modo come guidi è il tuo modo di fare l'amore... intanto BUONE VACANZE!

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