14 set 2013

FIABA DELLA PICCOLA ITALIA

Photo by Pierperrone


Ancora una volta, lì, dinanzi al cielo, la mente perduta nelle grandi correnti, gli occhi sgranati.
Si, è vero, è solo il piccolo cielo che entra in una finestra, squadrato, regolare.
Ma un cielo resta sempre imbelle, indomabile, libero, anche se è imprigionato in quell'angusto spazio.
Perchè un cielo è un cielo, sempre.
E' luce pura.
E' l'infinito che ci guarda.
E' l'oceano in cui veleggiano i nostri corpi quando li lasciamo liberi...

Gli occhi della piccola Italia s'erano incantati.
D'un azzurro fatato, erano lo specchio di quello spicchio di cielo.
L'iride d'oro testimoniava le sue origini divine.
Una ninfa.
Una chimera.
Chissà.
Una dea.
Capelli soffici come nuvole gialle le avvolgevano l'ovale candido del volto gentile.
Una ciliegia per bocca.

Lo sguardo intenso e svagato al tempo stesso leggeva i segni che nessun altro sapeva vedere.
Conosceva l'alfabeto del creato a menadito e sapeva leggere il grande libro dell'universo.
La piccola Italia era stata educata alla scuola dei poeti, dalle Muse in persona, che s'erano dedicate a lei pienamente ed in modo esclusivo.
Sarebbe stata lei, un giorno, la nuova regina dell'Olimpo.
Lo sapeva.
Così era scritto sul gran foglio azzurro che si squadernava adesso nel cielo terso.

Ogni giorno, appena tornava dalla scuola, la piccola Italia correva a rinchiudersi lassù.
Un saluto di corsa alla nonna che sfaccendava in qualche stanza oppure in giardino.
E saltava a due a due i gradini della scala che portava al piano superiore.
Passava attraverso la porta ancora chiusa, tanto la frenesia la percorreva come una corrente.
Pareva un fantasma, una creatura dell'altro mondo.
La finestra sulla parete di fianco al letto era sempre lì ad aspettarla, fedele compagna di giochi.
Un saluto al grande albero del giardino e, in un lampo, eccola, assisa sul suo trono celeste.

A scuola non parlava mai con nessuno.
La maestra era abbastanza preoccupata di questo.
Era molto brava, oh, si, questo si, il suo rendimento era sempre eccezionale, preparata, conosceva la lezione ben oltre quello che veniva spiegato in classe o che era scritto sui libri.
Chissà dove andava a cercare per fare i suoi compiti.
Il suo punto di vista era sempre orginale ed informato.
Un piccolo mostro, si sarebbe potuto dire, se non fosse stato per la sua gentilezza dolce e cordiale.

I ragazzi spasimavano per lei.
La piccola Italia aveva fatto innamorare tutti, si, tutti i giovanottini che frequentavano la scuola.
Tutti i cuori principeschi battevano solo per lei.
Ma erano spasimi e sospiri che non la raggiungevano, non la sfioravano neanche.
Non serviva invitarla.
Era inutile cercare di farsi notare.
Nessun cavaliere era riuscito mai, fino ad allora, a farla salire sul suo cavallo alato.

La sera calava lentamente sul mondo.
Il mondo era piccolo in quella piccola città di provincia.
E ancora più piccolo si faceva, racchiuso in quel rettangolo di luce che sfioriva piano piano sul muro.
Alla fine della sera non restava granchè, di quella scheggia di mondo, sul muro.
Qualche ombra.
Qualche stella che pulsava a intermittenza.
Qualche nuvola che si affacciava per salutare.

Negli occhi della piccola Italia non calava mai la sera, però.
Una luce perenne li teneva accesi.
Anche quando di fuori, sul mondo, calavano le tenebre notturne.
Lì, nel giardino sotto la finestra, non arrivava il bagliore del lampione che stava all'impiedi davanti alla porta di casa, là, sulla strada, come un sentinella distratta.
Non si accorgeva della luce che brillava in quegli occhi.
Eppure, a saperlo, erano loro che tenevano accese le stelle lassù, nella volta buia di nero velluto.

Quando il mondo si metteva a dormire, si accendeva il mondo dei sogni.
E la piccola Italia ne era l'incontrastata regina.
In quel mondo di dei, principesse, eroine, viaggiatrici, giornaliste era lei la più bella di tutte.
Non le occorreva parlare, per esprimere i suoi desideri, perchè tutti, tutte le creature di quel mondo incantato, s'affrettavano ad esaudire ogni suo volere, appena le sbocciava nel cuore.
Era sempre felice, in quel mondo fatato
Quel mondo era sempre felice, grazie alla magia di quell'incantevole fata.

Le piaceva passare le ore lassù, alla piccola Italia.
Le ore libere dai compiti, dai doveri di casa, dalla visita alla povera mamma rinchiusa in un carcere in città.
L'avevano presa una notte, mentre sprecava la sua vita sulla strada, consumandosi nascosta nel buio.
Non era ritornata, al mattino, per salutare, con gli occhi pesti di sonno, la piccola Italia che usciva saltellando allegra per andare alla scuola poco lontano.
Era arrivato il suo uomo, verso sera, quando cominciava a fare già buio, per dire con voce arrogante che lei s'era fatta arrestare.
Ora non voleva più saperne di lei, se ne stesse pure a marcire in prigione.

La piccola Italia non sapeva che piangere poteva aiutarla a capire.
Lei non capiva nemmeno il mondo assurdo dei grandi.
Sapeva di dover aspettare.
Fin quando, non aveva importanza.
Doveva soltanto aspettare.
La mamma sarebbe arrivata, infine, un bel giorno.
E allora sarebbe stata gran festa.
C'era scritto questo, là, nel grande libro del cielo.

1 commento:

  1. Che bella questa figura di ragazzina. La capacità di sognare che permette di non arrendersi alla vita. Questa ragazzina vola alto, molto alto. Sembra sapere quel che vuole. sembra...
    Ma non so perchè, c'è un lato di lei,( non sono riuscita a individuare l'esatto punto del racconto che me l'ha fatto sentire) che mi giunge estremamente fragile. Forse l'ultima parte del racconto che suscita il dubbio: tanta paura della vita da voler fuggire?
    Credo che avrei dovuto leggere i racconti nell'ordine in cui li hai postati. Ora che ci penso mi sa che c'è un legame molto stretto con l'atro e mi sa anche che ci sarà un seguito...
    Scusa per l'errore di lettura, qualche giorno di assenza dal blog, me l'ha fatto commettere...
    Un abbraccione

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