14 gen 2013

IL PADRE (Solfeggio n. 2)

Disegno di Emanuele LUZZATI
da http://www.gusberti.net/


Parlare di mio padre non è molto facile.
Almeno, credo, sia o debba essere naturale, questa difficoltà, per ogni figlio che conserva la figura del padre come quella della "legge" che si erge, per sempre eterna, a governare la vita.
Quindi, la prima parola per dire "padre" senza dirlo veramente è "legge".

Credo che il padre sia un grande albero da frutto.
Il tronco forte, i rami vigorosi, la severa rettitudine del resistere, piantato in terra testardo, ad ogni intemperia,   il peso della fatica per nutrire e portare a maturazione i frutti, sono un altro modo per descrivere il proprio padre e darne un'immagine senz'altro appropriata.
L'albero di mio padre ha dato tre frutti.
Ma credo che altri frutti siano caduti prima del tempo.

Il padre può essere anche un altro tipo di albero.
Un pioppo, più precisamente.
Alto, piantato sulla riva della vita che scorre disordinata ed allegra, flessibile alla furia del vento, ma ben piantato sui suoi principi morali che gli impediscono di confondere l'acqua con la terra, il bene con il male, allineato ed integrato nella società degli altri pioppi già maturi, è il segno della coscienza e della buona educazione.

Il padre è anche un papavero rosso, o un garofano, o una rosa.
Un fiore che, quando viene reciso dal gambo, appassisce e muore.
E' sempre così, per i fiori.
Appassiscono troppo presto, perchè qualcuno li coglie per dare sfogo al proprio piacere di un attimo.
Ma so che ogni fiore ha avuto almeno un attimo di tempo di rendere più bella vita di chi ama i colori.
Per questo nessun fiore vive invano.
Solo, a volte, viene colto troppo presto.

Il padre può essere Mastro Geppetto, padre di un burattino di legno che si trasforma in uomo.
Ma anche i due carabinieri che arrestano Pinocchio possono essere padri.
Io sono figlio di uno dei due.
Ma non ho mai voluto trasformarmi in un burattino.
Mio padre era quello senza baffi, il più basso dei due, quello meridionale che aveva lasciato la terra e la famiglia per inseguire chissà quale sogno che non aveva, poi, mai raccontato a nessuno.
La storia di Pinocchio e Mastro Geppetto, invece, è molto più nota e non è necessario che io la ricordi qui.

Ci sono alcune canzoni che mi richiamano la memoria del padre.
Per uno della mia generazione e del mio genere ce ne sono tre, in particolare.

La prima è "Mio padre ha un buco in gola", di Venditti, una vecchia canzone di tanti anni fa.
Mio padre ha un buco in gola, diceva, ed una medaglia d'argento, con ritmo cadenzato e pianoforte, oggi è andato in pensione, alta burocrazia nazionale...
Il buco in gola forse, per Venditti richiama il tempo della guerra, oppure, chissà, qualche operazione chirurgica, o soltanto una particolare gutturalità della voce. Mio padre aveva una voce tonante. Forse prendeva forza da quel buco.
La medaglia d'argento erano almeno tre o quattro e servivano da bottoni per chiudere la giacca della divisa.
Non è riuscito ad andare in pensione, perchè ... non ha avuto tempo per queste cose.
Ha servito l'alta burocrazia nazionale con il suo lavoro impegnativo che svolgeva con impegno e rigore. Lo ricordo ancora, con la sua supersonica velocità, battere, con due dita sulla tastiera di una vecchia pesante Olivetti nera e grassa, lettere in triplice copia a carta carbone su fogli-velina leggeri come seta. L'eco di quel battito si spandeva per i corridoi della caserma. Alle volte lottava con i vetri delle finestre per scappare da quelle celle in cui lo tenevano incatenato.

La seconda è di De Gregori ma l'ha cantata anche De Andrè.
Mio padre ha una storia comune, accompagna la chitarra un contrabbasso sordo, condivisa dalla sua generazione, la mascella al cortile parlava, troppi morti lo hanno smentito, tutta gente che aveva capito.
Crepita il contrabasso mentre l'arpeggio diventa leggero come un soffio di vento che raggiunge le stelle, un sogno che comincia a volare...
Mio padre era un ragazzo tranquillo, la mattina leggeva un solo giornale, era convinto di avere delle idee, e suo figlio è una nave pirata...
Le scritte nere, adesso, sui muri davanti casa mia, crescono di numero ogni giorno, dicono che il movimento vincerà, i nuovi capi hanno facce grassocce, e cravatte intonate alla camicia.
Ma il bambino nel cortile non si è fermato, non si è stancato di inseguire aquiloni, si è seduto tra i ricordi vicini e rumori lontani, guarda il muro e si guarda le mani...

La terza è il signor G di Giogio Gaber.
Lì di padri ce ne sono addirittura due.
Perchè i figli che raccontano la loro storia, lì, sono due.
Io sono il fratello di uno dei due.
Mi piacerebbe essere il fratello di quello che ha il padre che guadagna trentun miliardi al mese, che diviso per i giorni che ci sono in un mese, fa un miliardo al giorno.
E invece, temo di essere fratello dell'altro, quello che ha vissuto con lo stipendio di diecimila lire al mese.
Ma oggi sono molto fortunato, perchè non devo segnare i fagioli con un numero, come faceva il padre povero del mio povero fratello G.

Oggi sono padre anch'io.
Parlare del padre, quindi, vuol dire parlare anche di me.

Sono forse io un albero?
O un fiore?

Un Geppetto o un personaggio della storia di Pinocchio?

Non so dire.
Non è certo questo il compito che tocca a me.

4 commenti:

  1. Toccherà a tuo figlio dire se sei un albero o un fiore, intanto hai fatto un ritratto a tuo padre vero e allo stesso tempo molto sibillino, ancora secondo me non sei pronto a parlarne, o forse sono i miei sentimenti che tramuto nei tuoi...mio padre ne sono sicura era un albero, forse un abete o un pino.
    Buona notte Piero...sogni d'oro.

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  2. Cara Paola, è come dici tu, io non ho voglia di parlare davvero di lui.
    Non per ragioni particolari, ma semplicemente, o forse soprattutto, perchè per ora non ne ho avuto l'esigenza.
    Con questo "solfeggio" ho svolto il compitino del seminario di lettura/scrittura che sto frequentando... ti ricordi, l'altro esercizio era quello di ... Fausto...

    Certo, parlare del padre non è facile.
    Io ho cercato una formula leggera, ma la tempo stesso che andasse abbastanza a fondo nel dire qualcosa.

    Perchè hai scelto, per tuo padre, proprio un abete o un pino?

    Un abbraccio
    Piero

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  3. Non lo chiamerei davvero "un compitino" Compitino dà l'idea di qualcosa scritto senza emozione, senza sentire davvero quel che si sta scrivendo. E' vero, qui c'è solo un accenno chiaro all'esperienza tua e solo tua...ed altri piccole sfumature che forse...ti sono sfuggite inconsapevolmente...non so...magari mi sbaglio...
    L'impressione che ho io, leggendo questo racconto è un'altra, ma come sempre è soggettiva e andrebbe troppo nel personale, per cui la tengo per me perchè non credo sia giusto entrare troppo in profondità rischiando di dire cose che magari sono completamente fuori strada.

    Tornando a questo piacevolissimo racconto, quello che mi colpisce è il tuo tratteggiare i tanti modi d'essere padre. I nostri, quelli della nostra generazione, così diversi dai padri di oggi sotto molto aspetti.
    I nostri padri che in molte cose hanno sicuramente sbagliato, ma che sapevano essere comunque guida. Lo capisci dopo, capisci che non in tutto avevano ragione, ma ci sono stati, per come hanno potuto, per come hanno saputo.
    Capisci le loro ferite e come queste abbiano influito anche sul loro essere padre.

    E poi ci sono i padri (e le madri) che non sanno essere padri, proprio non ne sono capaci e forse nemmeno loro se ne rendono conto.

    In quanto a te, amico mio, chissà che cosa rimarrà dentro a tuo figlio, di te? Bella domanda...ma non so perchè...ho l'impressione che tu non debba temere molto.

    Un abbraccio


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  4. Cara Patrizia,
    chissà, un giorno troverò il modo di parlare di mio padre; non è che io abbia troppi problemi con la sua memoria, più che altro è che il blog non è il posto giusto. In fondo sono poche le occasioni in cui queste pagine fungono da diario personale.

    Il rapporto con lui non fu molto facile, per me. Lui era troppo severo per i miei gusti. Ma questo importa poco. Nel senso che il mio punto di vista, in questo senso risente troppo del fatto che lui è venuto a mancare troppo presto; non c'è stato il modo di vivere insieme gli anni della maturità. Il ricordo che ho di lui è sempre legato al suo ruolo di padre mentre il mio ruolo (anche attraverso il vissuto dei miei fratelli) il mio ruolo è stato solo quello di figlio "a carico".

    Lui era un carabiniere e ne incarnava bene l'animo.
    Giusto e severo.
    Io di questo mi porto appresso la forza.
    Per me è come una sicurezza inconscia, la certezza che esistONO LA GIUSTIZIA E LA SEVERITA'.
    E' davvero molto, di questi tempi.
    Posso non essergli grato?

    Ma non credo di assomigliargli poi molto.
    Io non sono un ribelle, proprio no, ma credo di essere profondamente libero.
    Neanche lui era un ribelle; io, almeno, non lo ricordo affatto così, anzi, al contrario; ma i miei occhi che lo scrutavano erano occhi di ragazzo e lui, ancora troppo padre non poteva mostrarsi troppo a nudo.
    Forse alcune sue scelte di vita furono di ribellione, lasciare la terra natìa, andarsene lontano, scegliere la divisa e costruirsi una vita in altrove tanto distante e diverso da quello della sua famiglia (lui è stato l'unico a fare una scelta così radicale), può essere stato un atto di ribellione...
    Ma sono solo congetture.
    Lui era libero?
    Neanche questo so, vedi amica mia?
    Libero è una parola infida.
    Da una parte lo era fino alle estreme conseguenze.
    Da un'altra per me era ingabbiato in un ruolo tanto duro.
    Ma, ancora una volta, per saperlo davvero non ho avuto il modo, il tempo.

    Le mie scelte di vita lui come le avrebbe giudicate?
    Ecco, si fa interessante (e siamo alla fine del commento) il discorso: ma non nel senso che io tragga una risposta a questa domanda.
    Al contrario.
    Dopo la sua morte ho dovuto imparare a non vivere all'ombra di domande così.
    Le mie scelte, buone e cattive (ho compiuto le une insieme alle altre), me le sono pagate tutte da solo.
    Non ho potuto chiedere aiuto a "papà", almeno da un certo momento in poi (chissà, poi, prima; forse non volevo lo stesso).
    Questo ha determinato qualche conseguenza importante, per me.
    ... come dire... scegliere vuol dire bere o affogare.
    Qualche volta ho bevuto, qualche altra sono affogato.

    L'ho messa giù lunga, amica mia. Così sai qualcosa in più di me. Non troppo, credo.
    Solo un'ultima cosa.
    Penso di aver capito mio padre (o di aver capito di non poter capire oltre una certa soglia) solo dopo che sono diventato padre a mia volta.
    Così, forse, sarà per mio figlio. Questo sul tema in questione. Non vado oltre.

    Un bacio,
    Piero

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