23 gen 2013

PILLOLE AUTOBIOGRAFICHE (5)

Franz KAFKA

Kafka l'ho letto quasi tutto. Ma non ve lo voglio stare qui a spiegare.
Devo aver sentito, chissà come, alla televisione, probabilmente ancora quella in bianco e nero, la storia della metamorfosi, la trasformazione dell'uomo in scarafaggio, il mistero in cui si perde il meraviglioso miracolo della natura, l'incubo in cui si tramuta, certe volta, l'esistenza umana ...
Andavo al liceo, avevo, allora, chissà, forse 17 anni.
Provavo i primi turbamenti esistenziali.
A quell'età lì si sta attaccati alla vita con lo stesso tremore che scuote le foglie nuove di un albero nel temporale di primavera.
Io sentivo la forza irresistibile della linfa verde che irrorava i miei rami che crescevano inarrestabili.
Ma ero esposto alle intemperie che il vento della formazione scolastica, della vita civile in cui si entrava con tutti gli stivali, della maturazione adolescenziale che scatenava i primi appetiti culturali, civili, politici.
Mi cominciavo a guardare attorno e cominciavo a vedere i contorni di un mondo che mi sembrava grande e spaventosamente incomprensibile.
La scuola, il liceo classico, m'inoculava il virus incurabile della curiosità e del bisogno di capire.
Medicina erano i libri, i dischi, i discorsi infiniti con gli amici...
Tra questi libri, capitò, La metamorfosi.
Lo comprai perchè m'incuriosiva, in un misto di timore e, appunto, di curiosità.
Lo comprai anche perchè mi colpì la strana conformazione del cognome dell'autore, compresso fra due K - K che dovevano aver modellato pure il carattere dell'uomo Franz.
Anche la Z, con cui si chiudeva quel nome m'incuteva una specie di soggezione.
Tante strane dure consonanti nel nome di una persona sola dovevano aver condensato anche un particolare sapore del contenuto dei suoi libri.
E, certo, quella storia ai limiti del dramma esistenziale, ma pure al confine del "fantasy", che allora non esisteva ancora con quel nome... al massimo sarebbe stata la fantascienza... ma che male si lega, la fantascienza, a quella strana storia dell'uomo che si sveglia trasformato in una blatta nera goffa e pesante.
Sfortunata e dolente, destinata al peggiore destino...



Mi piacque quel racconto.
Con appetito, comprai subito qualcosa di più abbondante.
Sono stato sempre piuttosto goloso.
Il primo romanzo, il Processo, edizione Oscar Mondadori, traduzione di Ervino Pocar.
Chissà, forse a casa da mia madre conservo ancora quel volume lì.
Lo lessi con interesse e piacere.
Una storia complessa, profonda ed al tempo stesso leggera.
Una specie di racconto mitologico della modernità, una spiegazione dell'antropologia che è alla base dell'uomo, un mistero avvolto sotto le sembianze di un romanzo, il disvelamento delle verità più intime che regolano il destino di un essere umano.
Eppure un'ostrica che non mostrava mai appieno la sua perla.
Una mano chiusa in un pugno ben serrato.
Una finestra sul mondo con le serrande abbassate.
Uno spiraglio di luce su un mondo di tenebre.
Un'irresistibile forza d'attrazione.
Un pasto romanzesco che mi saziò molto a lungo.
Una sensazione di pienezza, mai pienamente resa consapevole nei suoi dettagli, che mi rese soddisfatto ma che mi fece allontanare dalla lettura di altri romanzi per molto tempo.
Era già tutto spiegato in quelle pagine.
Che necessità ci poteva ormai essere, che interesse potevano avere gli altri?
Altri romanzi, altri autori, altri temi, altre trame...


Avevo 17 anni.
Era il 1976.
Quell'anno, tanto per dire, il 14 gennaio 1976, usciva il primo numero del nuovo quotidiano LA REPUBBLICA.
Noi eravamo un gruppo di studenti sensibili, aperti al cambiamento, desiderosi di vedere i cambiamenti del mondo, anzi, più precisamente, di partecipare a quel cambiamento di cui, pur senza comprendere ancora a pieno, sentivamo le vibrazioni nell'aria.
Lo comprammo.
Leggevamo i giornali.
E discutevamo, criticavamo e mettevamo piede nelle sedi dei partiti.
Facevamo i volantini con il ciclostile.
Scrivevamo i primi articoli sui giornaletti delle sezioni dei locali partiti.
Molti amici frequentavano il vecchio partito comunista, la federazione giovanile, per la precisione.
Io ed alcuni altri eravamo più ... allergici alle parrocchie, di qualsiasi fede o colore si vestissero.
Ma avevamo chiara la parte da cui stare.


LA PRIMA COPERTINA de LA REPUBBLICA

Le prime censure della politica ci chiedevano di rettificare le bozze di articoli che, con chissà quale ingenuità, avevamo provato  a buttare giù, nel nome degli ideali più alti per noi e per l'umanità intera.
Le prime rivolte alle censure ci spingevano a fare le prime scelte e rinunce.
Altre sedi di partiti ci ospitarono per dibattiti nei pomeriggi lunghi che seguivano alle mattinate dei collettivi e delle assemblee.
Gli scioperi erano numerosi.
La solidarietà era un valore forte.
Molte parole forti rimbombavano nelle nostre piazze.
Noi eravamo fortunati.
Nella piccola città dove stavamo rintanati, le schegge di quelle granate verbali non arrivavano direttamente.
A poco a poco quelle granate verbali si stavano concentrando in veri proiettili di P 38.
Ma noi eravamo fortunati.
Nella piccola città dove restavamo trincerati, le traiettorie di quei proiettili non arrivarono.
La violenza si stava aprendo la strada, nel 1976.
La violenza era entrata dentro di noi, quando eravamo ancora bambini, in quella città tanto piccola da assomigliare ad un piccolo tiepido nido, attraverso la televisione.
L'eco delle prime stragi senza ragione aveva turbato per sempre la nostra infanzia innocente.
Le bombe.
I morti.
La vigliacca violenza.
Lo Stato combattuto dall'Antistato.
La politica stuprata dalla strategia del terrore.



Non potevamo capire.
E ancora oggi nessuno ci ha spiegato.
Eravamo ancora bambini, ci facevamo ragazzi, diventavamo adolescenti, per farci cittadini, padroni del mondo.
Quelle bombe, quella mancanza di giustizia, quel Potere colpevole, quelle pallottole che pretendevano di spianare la strada alla giustizia degli uomini uguali...
Quello non era cibo che dava nutrimento.
Era veleno.
La dolorosa violenza nascosta nel mistero che circondava lo svolgimento del processo di K., l'alter ego di Franz, era una metafora, una delle tante possibili, ma questo lo capisco solo oggi, di quell'amara verità che si nascondeva sotto il mistero che la giustizia italiana ha saputo tenere tanto bene celato.
C'era già tutto scritto, là dentro.
Solo che là, in quel romanzo così misterioso ed affascinante, K viene sgozzato dal coltello di uno dei due poliziotti che fanno anche la parte dei boia.
Una finestra, in lontananza, si apre sulla scena di quella sommaria esecuzione.
Un uomo si affaccia a quella finestra.
O forse un balcone.
O forse una porta del tempo.
L'esecuzione di K, forse decretata per un'oscura sentenza, fìo di un'accusa mai dichiarata e di una colpa mai provata, assomiglia troppo, oggi mi pare di vedere, all'assassinio di Moro che, nel 1978 trasformò la lotta politica in famelico scontro fra belve.
Niente più, dopo il 1978 sarà più lo stesso, per il nostro Paese.
L'ingiustizia, come con K, ha mietuto la sua vittima prescelta.
L'ingiustizia resta la bandiera che sventola su quel balcone che assistette alla spietata esecuzione di K.
Quella bandiera sventola anche oggi, anche ora, al di sopra della bandiera che a tre colori s'inalbera nei giorni di festa sui balconi dei palazzi che hanno assistito alle esecuzioni delle stragi e dei terrorismi.
Ancora oggi ci sono uomini che conoscono la verità di quelle morti che non hanno ricevuto giustizia.
Ancora oggi quegli uomini si difendono tra loro.
Ancora oggi quegli uomini reggono sulle spalle il peso della sotria violata d'Italia.
Nelle stanze di qualche ufficio c'è ancora qualcuno che sa e che non vuole parlare.
Ancora oggi ci sono complici che vengono remunerati per il loro silenzio, per la loro cecità, per le loro amnesie.
Ancora oggi carriere, poteri, cariche politiche, alte responsabilità si sono POTERE, LEGGE,STATO.
Ma che Stato è, che legge, che potere, quello che si fonda sul sangue senza giustizia?
Io come spiego a mio figlio che la sua casa è fondata sull'assassinio innocente del povero K innocente?

4 commenti:

  1. Hai fatto un'analisi perfetta di quel che eravamo noi ieri, dei sentimenti provati in quei giorni, del senso di confusione interiore che provavamo a volte, anzi spesso, di fronte a tutto quel bello e a tutto quell'orrore. E l'oggi, amico mio, forse non è che il frutto di di quello che vedemmo senza capire, allora troppo giovani...lo abbiamo capito troppo tardi, quando ormai tutto era concluso e deciso...

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  2. Le tue pillole stanno diventando assai amare...anche io ho scoperto Kafka con "La metamorfosi" a 17 anni credevo fosse attinente alle metamorfosi degli dei di Ovidio che io amavo molto, pensa tu la sorpresa che ebbi...ma mi piacque, comprai subito "Il processo" mi piacque abbastanza, allora comprai "America" non mi piacque e chiusi col Franz.
    Ciao Piero.

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  3. Senz'altro, cara Patrizia, l'oggi è il frutto di quel passato.
    Certo, allora eravamo troppo giovani per capire bene tutto.
    Però, ti chiedo, cosa vuol dire che però lo abbiamo capito troppo tardi, quando tutto era concluso e deciso... ?
    Immagino, penso che tu ti riferisca alla fine di tutto, finito perchè...
    Non so rispondere in modo semplice; diciamo che è finito soprattutto perchè piano piano è cambiato tutto, intorno a noi.
    Il mondo è cambiato, tutto il mondo.
    E sarebbe cambiato anche se avessimo capito, probabilmente.
    Sarebbe cambiato perchè ... io credo che il benessere abbia costituito il maggior fattore di cambiamento.
    Il benessere che si è fatto consumismo, ricchezza, superfluo...
    E poi, è cambiato ancora, si è fatto globalizzazione (qualsiasi cosa significhi la parola), mercati finanziari, speculazione, brama di ricchezza "smateriale".
    E poi, cambiando ancora, si è fatto dematerializzazione, bit, bytes, giga, tera...
    Infine si è fatto crisi, come se, in un gioco dell'oca della storia, si fosse costretti a tornare indietro di tante caselle...
    E sta continuando a cambiare, e continuerà a cambiare, senza sosta...

    Anche noi siamo cambiati.
    E cambiamo e cambieremo ancora.
    Ma noi siamo cambiati di meno, meno di quanto sia cambiato il mondo, cara amica mia.
    Ormai la vita - di ciascun uomo come del pianeta intero - è come una vorticosa corsa verso un instabilità che si sposta sempre in un altro posto... non c'è niente di certo ... come nella fisica quantistica.
    (A parte che io credo che le leggi della fisica siano gli uomini a scriverle a propria immagine e somiglianza, o almeno ad immagine e somiglianza, di volta in volta dei propri filosofici dominanti... ma questo è un altro discorso).
    In questo vortice ognuno, come capita anche a noi, va avanti e resta indietro nello stesso tempo.
    Perchè anche il tempo a sua volta cambia. Adesso è breve, tanto breve che puoi percorrere il pianeta alla velocità della luce...

    Vuoi che in questo vortice rimanesse fermo quel mondo di allora?

    In fondo, nessuno può capire tutto ciò che è avvenuto. Nessuno può sapere ciò che era stato deciso...

    Di questa nostra storia italiana, quello che mi mortifica è proprio la mancanza di conoscenza, la mancanza di giustizia...
    Questo rende pericolante tutta la nostra ... costruzione nazionale,il nostro presente d il nostro futuro...

    Spero che un giorno si scriva questa sentenza.
    Per fermare almeno quel momento alla sua sotria!

    Un abbraccio,
    Piero

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  4. Io, cara Paoletta, ho invece continuato.
    Dopo il Processo ho letto Il castello, e poi molti racconti, mi sono comprato i diari, ho regalato le lettere a Felice Bauer, mi hanno regalato diversi altri volumi sulla sua vita, sui suoi scritti, sulla sua magica città, che ho visitato più di una volta....
    Ho anche scritto qualcosa su di lui.

    Ma non pensare che sia vittima del suo fascino oltre il limite della bellezza dei suoi scritti.
    Hanno un fascino che colpisce l'inconscio.
    Ed anche la sua vita ed il modo di raccontarla, e le sue amiche....
    Ho un libro bellissimo, della sua amica Milena Jesenska, uno dei libri più belli che conosco.
    ...
    Chissà, in qualche altra pillola ne parlerò ancora.

    Un abbraccio,
    Piero

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