26 mag 2013

LA STAZIONE DEL NULLA

photo by Pierperrone


L'autobus rallentò svogliatamente.
Il conducente era distratto.
Il cellulare, una radio, uno sbadiglio, il sonno, la noia...
Il turno di notte non passa mai.
Vuoto, l'autobus tornava dal suo giro.
L'ultima fermata, il capolinea, la chiamavano "la stazione del Nulla".
Di giorno era una sconfinata distesa fuori città.
Nè dolce campagna, nè più periferia.
Terra nuda, fili spinati e cancelli, denti arrugginiti e bocche spalancate,  recinti su capannoni isolati che sembrano vecchi campi di concentramento sfollati. Qualche casupola di morti di fame. Qualche villa di dozzinale lusso di pessimo gusto male nascosta da siepi incolte. Carcasse di auto arrugginite. Lampioni alti come lance piantate nel cielo...
Di notte anche quel poco veniva inghiottito dal nulla.
Un nero mare denso come petrolio.
Gli occhi spalancati, stupiti dallo sconcerto, di quegli smagriti lampioni che qualcuno, in città, si ostina ogni sera ad accendere.
Formano solo inutili globi di luce giallastra che si rubano le stelle dal cielo.
La coltre di luce densa che spargono è irreale, come il nulla su cui si stende svogliata.
Sono più vasti, là, indietro, un poco oltre la via, i laghi di nera tenebra oleosa. Un oro nero inutile e illusorio, proprio come le poche ricchezze nascoste dietro le rade finestre illuminate che ogni tanto forano il nero sipario steso pietosamente da dio su quell'insignificante distesa di nulla.
Per gli autisti degli autobus è una vera tortura quel percorso notturno.
Un viaggio nella bocca di un Cerbero addormentato.
Una corsa all'accesso dell'Ade.
Un giro notturno nel dormiente inferno dantesco.
Ore che non passano mai.
Fermate saltate.
E noi che brucia  e consuma.
Spettri.
Fantasmi.
Inquietanti presenze.

Jordi aspettava.
Gli sembravano ore.
Il buio era freddo.
S'era rialzato a fatica.
La mano che gli aveva strozzato il respiro in fondo alla gola, pietosa, s'era ritirata in qualche angolo nascosto, laggiù, nell'oscura caverna.
Era uscito per fare una strage.
Una rabbia violenta gli annebbiava gli occhi e spegneva ogni pietà.
S'era avvicinato un cane, per pisciava sotto al lampione, lì di fianco alla palina dell'autobus, mentre annoiato stava aspettando che tornasse l'asmatico mezzo pesante.
Le crisi d'epilessia gli avevano distrutto la vita.
Il lavoro, l'amore, una vita normale.
Buttati in fondo a quei buchi nella coscienza.
Viveva da solo aspettando la fine, l'ultima crisi che, con compassione, gli spegnesse per sempre la luce.
Ma la malattia, aveva, a volte, pensato, era pur sempre una fortuna insperata.
Almeno Jordi una ragione l'aveva, per desiderare la morte.
L'aspettava come il sollievo che pone fine al dolore.
Per gli altri, gli amici stanche del bar, non c'era una ragione così tanto importante.
Loro passavano i giorni ad aspettare nel nulla.
Le ore si consumavano lente, là, in quei tuguri, fumando, bestemmiando, parlando di calcio come se fosse filosofia orientale.
Il desiderio trasformava le poche donne smarrite che sedevano alle basse sedie, dietro ai tavolini che zoppicavano da tempo, in formose Afroditi, Veneri candide, Vergini ansimanti.
Erano solo puttane di passaggio che andavano a prendere servizio da qualche parte, laggiù, lungo il viale che, come una ferita, taglia la spelacchiata campagna di quella periferia nata morta da sempre.
Quando tornavano, smontato il servizio, avevano visi stanche e occhi assonnati.
La morte l'avevano provata nel corpo.
Scopavano solo con poveri zombie di periferia, in squallide cabine puzzolenti di ansimanti camion di terza o quarta mano, rubati, dismessi da ditte già morte anche loro.
Qualche cliente con la vettura di lusso, di quelle che si vedono in quei cimiteri ambulanti di periferia, ogni tanto si fermava, fischiava, rideva, urlava qualcosa, chiedeva il prezzo e poi ripartiva.
Erano solo poveri cristi senza arte nè parte.
Poveri iluusi.
Bulletti di un quartiere di cui nessuno ha voglia di scrivere l'inutile storia.

Aveva un rabbia profonda, Jordi, resuscitato dal Nulla che l'aveva vomitato come un boccone indigesto.
Era sprofondato in quel buco nero mentre stava sul ponte affacciato sul nero buio spaventoso come l'ultimo abisso.
L'incosciente sonno dell'epilessia, era stato disertato dai sogni, stavolta.
Anche le voci, avevano smesso di urlare.
In quel nulla nero di notte era rimasto solo,vagabondo nel mondo dei morti, come quel cane che sera affacciato dalla tenebra che abbracciava il cono di luce dello smorto lampione.
Ma quello, il fantasma del cane, c'aveva una buona ragione per affacciarsi sotto quel fiotto d'elettrico sole giallastro.
Esaurita l'urgenza urinaria, si, insomma, finita la sua pisciatina svogliata, quello, il cane s'era girato assonnato e confuso, e aveva ripreso la via dell'oscuro viaggio nel mondo dei cani.
Odori e fantasmi, per i cani, non fanno alcuna differenza.
Per Jordi, neppure.
Di lontano arrivava il fetore di una fogna che chiamano a cielo aperto, ma che del cielo non ha altro che il fetido alito grigio dei morti viventi che bestemmiano contro dio ed i santi distratti.
I fantasmi stanno nascosti nella testa di Jordi, puzzolenti anche loro, di alcol e di piscio.
Come nei cessi dei bar dove ogni tanto si ferma a scaricare il peso della sua carcassa che gli rende grave la vita.
Aveva la rabbia frustrata di chi vuole ammazzare l'intero mondo, là fuori.
Le voci, l'abisso di nulla, i fantasmi, le oscure presenze, lo sciamare dei corvi vestiti da uomini, i presagi di morte, la sofferenza, la vita seminata di spaventapasseri grigi, la malattia, la speranza che la luce finalmente si spenga per sempre...
Jordi non aveva coscienza di quelle immagini oscure.
Non distingueva gli spettri che gli abitavano l'anima.
Non sapeva dargli nè nome nè forma.
Non capiva di vivere.
Non immaginava neanche di dovere presto morire.
Non desiderava nient'altro che tornare a dormire.
Ma c'era la rabbia.
L'insostenibile bisogno di ribellarsi a quel nulla che uccide.
Uccidere.
Sangue.

L'autobus si fermò cigolando.
Una bestemmia allungò il conducente vedendo Jordi esitare sul primo scalino.
Sembrava ubriaco.
Barcollando, aggrappato al primo paletto, sembrava dormire in piedi, come i barboni che di notte incontrava in quel mare che chiamavano terra del Nulla.
Ogni tanto si divertiva a spaventarli.
Tutti si divertivano con quei poveri fantasmi senza un dio protettore.
Jordi allungò una mano come se volesse menare un colpo di pugnale assassino.
La forbice stretta fra le dita come un coltello giustiziere.
L'aria restò immobile, mentre la lama compiva la sua traiettoria che nella mente di Jordi si doveva completare nella schiena di quel mostro che spuntava dal lontano sedile molleggiato che troneggiava là in fondo.
Aveva calcolato male le distanze, la povera mente malata l'aveva tradito.
Le forbici, anche, chissà, forse non erano neanche una vera arma d'acciaio.
Forse anche quelle erano solo un sogno liberatore.
Jordi era solo un morto di fame.
Una disgraziata vita datagli prestito da un dio non aveva la voglia di riprendersi il suo.
Sognava senza neanche saperlo.
Una vita come un oscuro sogno nebbioso.
Il bus continuò la sua corsa notturna di palina in palina, sul viale, tornando in città.
Le puttane stavano sedute a fianco ai fuochi ormai quasi freddi, come i loro corpi disfatti e le anime morte.
L'autista continuava distrattamente a smanettare il suo cellulare, la radio, qualche bestemmia, uno sbuffo.
Jordi, su un sediolino, in disparte da tutto, immaginava la vita che si spegneva poco alla volta, come la notte.
Infine riconobbe la fermata della sua povera casa.
La sua fermata.
Lui la chiama ancora la "Stazione del Nulla".

2 commenti:

  1. Stai scrivendo a puntate un romanzo giallo?
    Speriamo, secondo me Jordi diverrà un assassino.
    Mi incuriosisce assai.
    Ciao.

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    1. Mah, chissà?
      Non so, è che Jordi è duro a morire.
      Un abbraccio,
      Piero

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