24 mar 2013

LA RESISTENZA CONTRO I FANTASMI DELLO STATO DI CACANIA


Pilo ALBERTELLI - UNA DELLE 335 VITTIME DELLE FOSSE ARDEATINE


E' difficile ricordare, oggi, è più difficile. E' più difficile di ieri e diventa ogni giorno più difficile.
I ricordi si affollano sull'uscio della memoria, vividi, sanguigni, ma non riescono a raccontare la loro storia come pure vorrebbero fare.
C'è qualcosa che, oggi, che li trattiene, che rende più difficili le parole.
Eppure ricordare, oggi, lo so, è molto importante, è molto più importante di ieri.
I ricordi mi guardano tristi, da quell'uscio davanti al quale si affollano solerti.
Vorrebbero fare il proprio compito, attendere alla loro funzione, fedeli e ligi al dovere, come sempre.
Sono fatti di vita intensa, di sangue e carne, anche quando parlano di morte e di sacrificio.
Pulsano e palpitano intensamente.
Vibrano e fremono ansiosamente.
Vorrebbero mettere sul chi vive chi viene dopo, vorrebbero gridare "Attenzione!" a chi sta per inciampare.
Stanno con gli occhi sbarrati sull'uscio che li imprigiona inesorabilmente come la porta di una cella.
Stanno lì intrappolati, come se fossero in catene.
Qualcuno tenta di scappare, qualcun altro aiuta i più audaci.
Qualcuno si è messo di vedetta.
Qualcuno cerca di fare propaganda, di dare o raccogliere notizie, qualcuno cerca di nascondere quelli che sono in maggior pericolo.
Sembra ancora viva la lotta per la resistenza.

Eppure oggi è più difficile che mai ricordare.
Raccontare cosa accadde alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944 sembra un esercizio inutile.
Come mettersi in mezzo ad una folla di sordi e mettersi a urlare.
335 giovani vite spezzate in un solo colpo.
L'orrore della morte, della guerra, della distruzione.
La disperazione, il dolore, il pianto.
La vigliaccheria che si nasconde dentro le divise e sotto i gradi militari... 
Eppure, oggi, ricordare e raccontare mi è molto difficile.
La guerra, il fascismo, la dittatura, i nazisti, l'occupazione...
E la resistenza, i partigiani, la lotta, il desiderio di liberare la patria, la nazione ed il popolo...
Come mi pesano, oggi, queste parole.
Oggi, sono pesanti come macigni, come montagne, come lapidi senza nome.
E' quasi insopportabile il dolore per la mancanza, oggi.
Oggi manca una patria, una nazione, un popolo.
Ecco, ecco perchè provo tanto dolore.
Ecco perchè faccio tanta fatica a ricordare.
Ecco perchè il racconto è un fiotto di sangue che scorre senza riuscire a rapprendersi...

Il 24 marzo 1944.
Chissà se il sole era tiepido, se il cielo era limpido, se l'aria dolce e profumata di primavera, quel giorno.
A noi resta una cava piena di terra nera e di fango rosso.
Una distesa di lapidi che sembra vasta come un mare.
Un dolore che vago veleggia nell'aria densa e scura, dentro quella cava.
Si ricordano i morti per la resistenza, quelli che non volevano morire e che furono assassinati per rappresaglia contro altri morti che non volevano diventare morti.
Tutti troppo giovani per morire e che, pure, sono tutti dovuti morire.
Combattevano.
Forse senza neanche volerlo, o senza saperlo.
Senz'altro senza sapere quanto sarebbe potuto essere caro il prezzo per combattere.
Quanto sarebbe diventato caro il prezzo per la pace, per il riposo eterno.
Era primavera, come oggi, ed i fiori sui rami degli alberi nelle vie della città erano rosa, anche allora, come oggi sulla strada qui, sotto il portone di casa.
Erano rosa e bianchi e delicati e vibravano dell'effimera vita dei fiori anche se intorno, per le vie della città, il fango era impastato di polvere di macerie, di sangue e di lacrime.
L'aria era tiepida, annunciava l'arrivo di una nuova stagione, dopo la morte gelida dell'inverno.
Ma 335 giovani fiori non hanno saputo se l'estate del '44 sarebbe stata torrida oppure piovosa e noiosa.
Per loro nessun calore, più, nè, pioggia, nè noia..

Eppure, ricordare, oggi è difficile, molto più difficile di ieri.
I ricordi si affollano sull'uscio come i prigionieri nei campi di concentramento.
Qui, intorno a noi, qui vicino, da qualche parte qui intorno, è attivo il campo di sterminio dove si compie l'eccidio dei ricordi impuri, di razza inferiore, quelli che non si arrendono al dominio dell'oblio.
La razza ariana che ha conquistato la città è fatta di uomini che sembrano del tutto identici a noi.
Forse vengono dallo Stato di Cacania.
Forse sono stati deportati tanto tempo fa ma noi siamo fuggiti e gli abbiamo lasciato conquistare il letto delle nostre madri e delle nostre mogli e così, oggi, i figli di quei cittadini fantasma hanno conquistato tutto lo spazio della nostra città.
Oggi sono loro i padroni, qui, in città, sono loro a comandare, sono loro che ordinano ai miei ricordi di stare bene attenti a non mettere il naso fuori da quell'uscio così ben sorvegliato.
Ci sono soldati in divisa a vigilare con le bocche dei fucili ben oliati puntati sulla soglia serrata dell'uscio, stretta come una bocca rinserrata fra i denti.
I fantasmi sono uomini senza anima, sono corpi senza coscienza, sono menti senza memoria.
Nella città, qui, intorno, ormai, non riesco più a distinguere i fantasmi dagli uomini veri.

Ricordare può fare la differenza fra un uomo ed un fantasma.
E per questo, una difficoltà così grande che mi pesa sui ricordi non solo uccide la memoria, ma può uccidere un uomo, un altro, renderlo un fantasma uguale agli altri fantasmi che stanno conquistando la città.
Io non ho neppure il coraggio di organizzare una lotta di resistenza per tentare di resistere.
Io non ho quel coraggio che ebbero quei 335 giovani che il 24 marzo 1944 furono trucidati alle Fosse Ardeatine.
Oggi si combatte una guerra asimmetrica.
I nemici non portano divise che li rendono riconoscibili e che quindi li additano per agguati e attentati.
I nemici non sono bene armati di bocche di fuoco, di panzern, di fortezze volanti, di armi segrete in grado si render possibile una soluzione finale.
Oggi il nemico si nasconde come un vigliacco.
Compie agguati vili dentro alle urne.
Conquista la vittoria senza spargere sangue.
Basta il governo dei mezzi della democrazia.
Una conquista facile e senza sparare neanche un colpo.
I fantasmi possono agire indisturbati, confondersi tra di noi, in città, travestirsi come uno qualunque di noi, dire le stesse cose, essere di destra o di sinistra come ognuno di noi.

I fantasmi di Cacania colpiscono con le parole.
Hanno mitragliatrici che sparano parole aguzze come proiettili perforanti.
Parole che penetrano nelle menti con punte acuminate e che rilasciano tossine velenose che cancellano ogni resistenza della coscienza.
E' una guerra di conquista che si combatte dal di dentro.
Portano gli stessi abiti che portiamo noi di città, abiti da ministeriali lisi e un poco unti, divise sportive da joggers sudate e sdrucite, shirt da muratori, imbianchini, venditori ambulanti, completi di simil-eleganza come i procacciatori d'affari che si affollano nei cortili delle anche e delle agenzie immobiliari.
I primi a cadere sono stati gli agricoltori, braccianti, mezzadri e  coltivatori diretti, forse sono stati vittima di qualche veleno pompato dalle loro stesse macchine, qualche bomba chimica acquistata come antiparassitario.
Poi sono stati presi i commercianti ed i piccoli imprenditori.
Loro non hanno mai voluto essere cittadini davvero di questa nostra città.
Loro pensavano di poter svolgere le loro attività economiche  in eterno nelle sale più intime dei templi, dietro i panneggi più pesanti, di nascosto da tutti, contrabbandando le esenzioni fiscali con i regali e le promesse di fedeltà al clero.
Ma c'erano ancora gli operai, gli intellettuali, i cittadini con la coscienza civile alta e ben lubrificata.

Non c'è stata una seconda resistenza, in città.
Il 1943, il 1944, il 1945, non tornano più, per fortuna.
Le ferite dei ruderi e delle macerie della città straziata dai bombardamenti si sono rimarginate da tempo.
I palazzoni squadrati e sghembi, senza balconi, alti come immense prigioni senza sbarre visibili, hanno occupato tutto lo spazio che prima era nel caos degli alberi fioriti, dei prati verdi, dei papaveri rossi, delle margherite bianche...
Oggi le catene nere che tengono  avvinti i prigionieri sono nastri d'asfalto, le celle individuali non sono più grandi di scatolette di latta fumiganti e rotolanti.
I fantasmi che hanno sciamato di nascosto dallo Stato di Cacania nessuno li può vedere, qui da noi, in città, perchè ci hanno rubato l'anima e l'aspetto.
Ci hanno svuotato la memoria.
Ci hanno reso insopportabile il peso dei ricordi.
E' per questo che oggi è così difficile ricordare.
Anche se il 24 marzo 2013 e dovremmo ricordare, perchè ricordiamo sempre dove ci siamo bruciati le dita, dove cademmo nell'inciampo, una volta, andando distratti, dove ci rubarono qualcosa, in un agguato vigliacco.
Ma oggi non possiamo più ricordare.
Chi ci prova sarà fucilato, all'alba di un 24 marzo, da un plotone di fantasmi.
Le pallottole non faranno male.
Le ferite non sanguineranno.
Le parole non lasciano segni.

Kilotoni di parole vuote stanno bombardando la città.
Gli stukas calano in picchiata e rilasciano i loro ordigni di morte seminando la morte nei nostri cuori e nei nostri cervelli.
Anche questo diario, scritto in una cella d'isolamento, ormai sta finendo.
Domani la fortezza che c'è dentro ognuno di noi potrebbe essere stato espugnata.
Io ancora provo la mia resistenza, sempre più debole.
Questo diario è la mia sola arma.
A mio figlio ho spiegato che deve fuggire all'estero.
Lì, nel regno degli uomini normali, la vita continua come sempre, solo un poco più difficile, ogni giorno un poco più difficile, anche lì.
A lui ho raccontato, ma con altre parole, questa nostra storia così triste.
Lui è un uomo ormai e sa che deve combattere.
Ed io so che lui lo sa, glielo leggo negli occhi, anche se non sa come si fa per combattere.
Io non so dirglielo, come si fa.
Ma gli ho insegnato la verità.
Domani, nessuna verità sarà più vera come la Verità.
Solo la mia, solo perchè sono io il padre, saranno solo le mie parole a fargli da guida.
Ho questa responsabilità.
Ma ho armato la mano di un altro soldato, di un altro partigiano.

4 commenti:

  1. Amaro questo racconto, Piero...molto amaro. vi si sente tutto il dolore per una realtà, per un mondo in qualche modo sfuggito di mano. Non si può tornare indietro e l'inevitabile è qui, dietro la porta. Tu esorti tuo figlio a fuggire, giustamente. Pensi che altrove potrebbe trovare qualcosa di diverso. Forse sì, forse lui lo troverà, farà ancora in tempo, prima che l'epidemia dilaghi.
    O forse sceglierà di rimanere qui e di diventare grande imparando come si fa a combattere. Qui combatterà di più.
    Forse godrà la dolcezza e l'euforia di una vittoria, che sarà breve, come brevi sono state altre vittorie. E forse chissà, gli sarà risparmiato il dolore di questa consapevolezza.
    Un abbraccio Piero, a te, a tuo figlio...

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  2. Cara Patrizia, si è amarezza quella di questo periodo.
    L'amarezza di vedere il mio mondo, il nostro mondo, quella fetta che è la nostra nazione, lo vedo andare il malora, vedo che chi avrebbe il dovere di coltivarlo e farlo fruttare, cioè noi, la nostra generazione, invece se ne frega, si perde dietro alle parole vuote ai principi astratti, all'interesse materiale, al disinteresse per le cose importanti...
    Ho usato le parole "la nostra generazione", potevo dire "il popolo italiano", era lo stesso.
    Perchè le parole popolo e generazione sono espressioni il cui significato resta vago, ambiguo, impreciso, imperfetto...
    Implicano comunanze di sentimenti e di valori.
    In questo sono e restano importanti.
    Le più importanti, forse.
    Ma quando ci si accorge che quelle comunanze non sono così generalizzate da dare contenuto alle parole "popolo" o "generazione", da dargli un contenuto reale, materiale, concreto, quando ci si accorge che suonano vuote, fesse, stonate... ci si sente soli, allora.
    Ma neanche l'espressione "sentirsi soli" è esatta.
    Perchè io in realtà non mi sento solo. Questo no.
    Sono molte le persone con cui condivido le comunanze che dicevo.
    Sono intorno a me, a casa, sono le persone, poche magari, che frequento... in società, ma ne conosco molte, ci sono gli affetti "virtuali" che si sono costruiti anche in questo mondo immateriale del blog,ci sei tu, che sento persona viva, vera.
    Non mi sento solo, questo proprio no, non mi capita mai (e anche solo non mi farebbe paura, in fondo sono un solitario).
    Ma le distanze, sento, non le comunanze.
    Le distanze che stanno distruggendo l'Italia, le divisioni che stanno corrompendo il popolo italiano, le lontananze che stanno separando l'Italia dal resto del mondo.
    Perchè è questo che è grave, adesso, il laboratorio italiano è estremamente interessante, un caso clinico, psico-sociale.
    Come può un paese chiamarsi normale se presenta disturbi della personalità così gravi ed evidenti?

    Per questo mi fa male ricordare chi diede la vita per questo paese.
    Mi ha sempre fatto male, ma oggi mi duole quella che sembra un'inutilità del sacrificio.
    Per chi, per che cosa è servito quel sacrificio così grave?
    Oggi, io, mi sacrificherei così, allo stesso modo, per questo povero paese?
    Tu lo faresti?
    Loro, invece lo hanno fatto.
    E' questo che duole.
    Fa male, Patrizia mia cara.

    Il figlio.
    Meno male che c'è.
    Nelle conclusioni del racconto è lui la salvezza del mondo.
    Da un certo punto di vista è l'assolvimento del mio dovere primario: mettere al mondo un altro soldato/partigiano.
    E' già molto.
    Moltissimo.
    Un tesoro.
    Me ne sono accorto mentre lo stavo scrivendo.
    Piangevo, quasi, quando lo sentivo.
    Ma adesso lo so.

    So che tu non hai figli, carissima amica, e perciò temo di ferirti involontariamente con le mie parole.
    Ma so che tutti i giorni tu sei madre di molti bambini.
    Mi piacerebbe essere dentro di te quando stai con loro, a scuola.
    Mi piacerebbe vedere come sei bella come madre di tutti loro.
    Sono sicuro che la luce dentro i tuoi occhi, quando li guardi, è una luce di madre.
    Perciò ti parlo con tanta franchezza e non uso frasi più formali, ma meno precise.

    Non posso sapere quale sarà il destino di mio figlio.
    Nessuno sa il futuro proprio o dei propri cari.
    Se lo costruirà, in qualche modo.
    Io continuo a sperare sempre, la speranza non muore mai dentro di me.
    E' questa la conclusione del racconto.
    Va male, oggi?
    Beh, a parte che l'idea di male è sempre relativa, e c'è chi sta molto molto peggio, ma, comunque, resteranno sempre i nostri partigiani a lottare, domani, quando noi non ci saremo più.
    Almeno questo accende la speranza.
    Così potrò morire in pace.

    Ma io non voglio morire affatto.
    ... Ma questo è tutto un altro discorso..
    Stasera sono andato giù lungo e troppo ... romantico...
    Alla prossima.
    Un altro bacio (così ne approfitto)
    Piero

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  3. Ti ringrazio Piero per questoa risposta così franca. Non temere, non mi ferisci, io non sono madre è vero, ma questo per me non è stato mai un cruccio. Mi sarebbe piaciuto certo, ma non è un cruccio ed è anche vero che i bambini di cui mi occupo per un breve tempo li sento un po' come figli miei. Non è la stessa cosa, sarebbe inutile negarlo, ma la forza con cui cerco di dare il meglio di me con loro, nei limiti del mio ruolo, posso dire che assomiglia molto a quella di una madre. spero ancora di riuscire di riuscire ad essere qualcosa di più di una semplice dispensatrice di conoscenze. Lo spero e ci provo ancora, anche se mi rendo conto che diventa sempre più difficile. Ma questo sarebbe un discorso troppo lungo da fare ora e qui. Spero comunque che qualcuno di loro possa essere domani, quelli che tu chiami "nuovi partigiani". Questa è la mia funzione nel mondo, ci sto provando, ci proverò sempre,consapevole dei miei limiti,a volte con scoramento, ma sempre con sincerità.
    Speriamo che questi nostri ragazzi riescano dove noi abbiamo fallito. Come tu dici, la speranza è sempre l'ultima a morire.
    Un abbraccio

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  4. Scusami, Piero, scusami, ma basta guardare indietro,se si vi vive male nel presente meglio volgere lo sguardo al futuro che al passato, gli antichi dicevano, lascia il fardello del vecchio, altrimenti non ci sarà posto per il nuovo e il nuovo sarà luminoso...la speranza Dante la mette in Paradiso:).
    L'andamento italiano è comune al mondo, mio figlio sono ormai 10 anni che vive in vari paesi, Georgia, California, Spagna e Canada e ...tutto il mondo è paese non è poi solo un modo di dire.
    Buona Pasqua ti regalo una colomba con un futuro luminoso per tuo figlio.

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