29 mag 2013

LA VITA

photo by Pierperrone


Nella notte.
Con gli occhi sbarrati.
Nel buio del silenzio.
In attesa che il compagno desiderato arrivi a portare sollievo.
Passavano così, le notti di Jordi.
Pasticche o non pasticche il mattino giungeva con il suo languore di tiepidi colori, sfumature dal grigio all'arancio, al rosa, come un tiepido sollievo.
Lo sforzo acuto delle ore passate nella foresta della notte come un felino a caccia, lo lasciavano sfinito, con i muscoli rattrappiti dall'ansia, la testa dolente, gli occhi tumefatti.
Sembrava un pugile dopo un incontro che, invariabilmente, lo vedeva uscire dal ring disfatto e sconfitto.
Lentamente anche la sua mente si era assuefatta ai colpi duri che le notti insonni gli infliggevano senza pietà.
E mai, mai, che il sollievo dell'incoscienza servisse a lenire il dolore di quei colpi che, dopo ogni tramonto, si annunciavano sempre più pesanti.
Il sonno che aveva colto Jordi l'altra mattina era stato un dono di dio.
Lo aveva ringraziato a modo suo per tutta la restante parte del pomeriggio, dopo che si era svegliato, sollevandosi appesantito dalla scomoda posizione in cui si era rifugiato, forse timoroso di un inganno, di un sogno traditore.
Dormiva e sognava di sognare di dormire.
E in quel sogno che si sfaceva, come la sua coscienza tumefatta, soccombeva allo spavento che quel sogno di sognare fosse un incubo terribile.
Un'illusorio sollievo, che, svanito che fosse, al momento di ritornare alla cruda verità che, da un momento all'altro sarebbe piombata dal cielo come l'ennesima colpa da espiare, lo avrebbe lasciato ancora più dolente di ogni volta, come un cane, preso inspiegabilmente e senza preavvisi, a calci dal padrone amato.
E comunque aveva dormito.
Con la leggerezza di un angelo.
Con l'innocenza di un bambino.
Un sonno, ristoratore forse no, ma almeno riparatore, come una sutura per tamponare una brutta ferita che sbocca sangue e pulsa dolente.

Ma le notti che seguirono furono ancora peggiori di quelle fino ad allora.
Era stato questo il prezzo da pagare.
La condanna per la colpa di quel sonno rubato ad un custode tirchio e severo.
Una, due, tre notti intere passate sul materasso troppo molle per far riposare il corpo sempre più appesantito  dall'affaticamento dell'inerzia giornaliera.
L'inebetimento delle giornate non servivano a sciogliere la notte in sonno.
L'insonnia notturna non serviva a sciogliere la cappa di semincoscienza che avvolgeva come un sudario quella vita nata morta.
Contava i minuti, le ore, ormai i giorni, con la svogliatezza di un vegetale a cui nessun giardiniere pietoso ha reciso le radici malate che annegano nella melma di una pozzanghera marcia.
Piano piano aveva smesso di anche contare.
I numeri s'erano fatti entità astratte, forme di pensieri che volavano appoggiati sulle ali del disordine più casuale.
Immagini, ricordi, pensieri si erano confusi in un delirio in cui sprofondava sempre di più e nel quale, comunque, non riusciva ad annegare.
Oh, come gli sarebbe piaciuto partecipare alle sue esequie.
Immaginava, a tratti, di seguire il suo feretro, felice come un bambino a cui è stato fatto il regalo di essersi liberato da un'angoscia profonda.
Si vedeva, libero, vagare leggero nel cielo, privato del peso di un'esistenza senza senso e senza alcuna ragione per andare avanti.
Anche l'istinto di sopravvivenza si era ritirato, convintosi che il meglio per lui fosse la liberazione permanente da quel corpo che niente aveva da dare alla vita. 
E neanche lui, lo spirito di sopravvivenza, rammaricato, aveva più nulla da dare a quel corpo.
Andandosene da qualche altra parte, non aveva che da scegliersi un altro corpo da salvaguardare, avrebbe reso senz'altro il miglior servizio a quel fallimento d'esistenza che portava il nome di Jordi.
Noti e notti senza chiudere un occhio.
Giorni e giorni senza un respiro che desse il sollievo di una boccata di vita.
Il buio e la luce, ormai, non facevano più alcuna differenza, per Jordi.
Anche la televisione, il mondo fuori la finestra, la fame che buca lo stomaco, i piccoli percorsi verso il cesso, la cucina, la stanza da letto, tutto s'era fatto insignificante.
Solo il desiderio di un pò di riposo da quell'estenuante incubo che chiamavano vita.

Era in deliquio, ormai, da tre, forse quattro giorni.
Semi accasciato sulla sedia, davanti al tavolino della cucina.
Il rubinetto sgocciolante torturava i timpani e perforava il cervello.
Un colpo più forte gli parve provenire dal profondo del cranio ormai svuotato dai vermi che lo avevano roso da dentro.
Una specie di esplosione, e subito appresso un colpo improvviso.
Un caldo fiotto di sangue, dolce, come una bevanda tiepida e densa, gli scorse nella bocca.
Un altro colpo violento dietro alla schiena.
Un calcio fece volar via la sedia su cui s'era accasciato quell'informe corpo di morto vivente.
Prima ancora di cadere per terra, come un sacco che lentamente prende l'abbrivio, prima di precipitare nel vuoto, un altro calcio allo stomaco gli aveva deviato la traiettoria, facendolo rotolare di fianco.
Lo svenimento fu quasi istantaneo.
Neanche s'era reso conto di quello che gli stava accadendo.
Il sollievo dell'involontaria incoscienza gli parve, ma forse era soltanto un sogno malevolo, un immeritato regalo.
Sembrava volesse sorridere al suo dio che voleva premiarlo un'altra volta senza una vera ragione.
Ma non fece in tempo a piegare gli angoli delle labbra sottili.
Un fiotto d'acqua gelata gli richiamò alla mente il confuso istante in cui  quell'uragano improvviso era piombato, senza alcuna avvisaglia,  nella sua vita insensata.
Un brivido di freddo partì, involontario, incrociandosi con un lancinante spasmo di dolore senza ragione.
Jordi ancora non aveva focalizzato i tre colpi che lo avevano steso.
Un colpo di sfollagente sulle labbra e due calci al tronco, uno davanti ed uno di dietro.
Questo gli era accaduto.
Un altro calcio, sul fianco neppure l'aveva sentito.
Il dolore però adesso gli procurava conàti di vomito.
Bile amara.
Mista al sangue che ingoiava dalle labbra aperte dal colpo.

Lo portarono fuori con le mani dietro la schiena.
Lo avevano sollevato di peso, senza fatica.
Lo avevano ammanettato in silenzio.
Poche parolacce, spicce e decise, avevano trasportato quel topo di fogna, quel cencio insanguinato, fuori alla porta.
Sul camioncino dei carabinieri che lo portava in caserma non aveva ancora capito.
Il maresciallo che lo interrogò, in cella di sicurezza, non gli spiegò neanche perchè l'avevano preso.
Vole sapere soltanto come aveva fatto e perchè.
Il cadavere l'avevano trovato riverso in campagna.
Dove la città finisce nel nulla.
Sulla sponda del fiume che scorre sotto a quel ponte.
L'avevano visto, la notte, sceso dall'autobus, fermarsi a guardare di sotto.
Lì le puttane s'appartavano coi loro clienti.
Cosa aveva visto?
Cosa voleva da quel povero angelo dell'amore ch'era stato trovato sfregiato e squartato dalle forze dell'ordine, di primo mattino, ancora riverso nella pozza di bruno sangue aggrumato, semi assorbito dalla polvere accumulata sulla riva spoglia del fiume?

Voleva fare l'amore?
Lei gli aveva chiesto prima dei soldi?
Voleva violentare quel povero angelo che dispensava l'amore per tutta la notte ai poveri demònii che vivevano in quel quartiere di merda ai confini del nulla?

Voleva farsi giustizia da solo?
Dove aveva messo i soldi che aveva rubato?
Se li era bevuti già tutti?
Quanto aveva dato agli spacciatori per l'ultima dose?
Lo vedi che sei un drogato di merda?
Sei una feccia dell'umanità!

Così gli urlò.
Tutto il monologo del maresciallo era avvenuto senza le pause che s'attendevano una pur qualche risposta.
Il maresciallo sapeva.
Aveva già pronta la sua diagnosi.
Gli mollò, così, quasi per fargli un gesto di solidale compagnia, uno schiaffone sulle labbra ancora insanguinate per il colpo già ricevuto.
La vita era entrata nella vita di Jordi.
E che vita!
Uno schianto.
Dei colpi.
Una vera mazzata.

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