18 mag 2013

MATTATOIO AUSCHWITZ

Auschwitz (photo by Pierperrone)


Ci sono i fantasmi.
Qui, intorno, ci sono solo i fantasmi.
I fantasmi. Sono in giro e hanno preso tutto lo spazio.
Fantasmi sono diventati gli uomini che, solo ieri, erano buoni.
Uomini, erano.
Forti come bestie.
E ora.
Fantasmi.
Qualcuno, agli uomini, di notte, deve avergli rubato l'anima e il cuore.
Erano uomini.
E gli hanno strappato la pelle, gli hanno roso la carne, e consumato le ossa.
E alla fine, di quegli uomini, non è rimasto più niente.
Erano uomini.
Ed anche io ero fra quelli.
Ma ora, di quelli, sono rimaste solo le ombre.
Sono ombre che si muovono senza lasciare tracce per terra nè segni sui muri.
Lunghe ferite sono i viali.
Diritti e lugubri.
Fuori, oltre il cancello, non si vedono più le sterminate distese nere dei campi. Non rombano più, i trattori, là, fuori, ingravidando d'amore l'umida terra.
E' la violenza che strappa i frutti acerbi dai rami stecchiti. 
E lì, nelle strade, ora, giù negli stretti pertugi fra la basse baracche, non si sente più il sordo passo degli scarponi che schiaccia la neve.
Non cuociono più, il pane, i forni che vomitano fumo.
Gli alberi piangono mentre continuano a secernere le verdi foglie marce e appassite.
E i fiori.
I fiori si prostituiscono sotto il lampione lunare, là, al centro di tristi aiuole rotonde.
Loro sono come sempre.
I fiori.
Sempre.
Se si badasse alle loro piccole inezie colorate, tutto sembrerebbe essere restato uguale e immutato.
Immobile, il tempo, che non corre più veloce e sbadato.
La morte degli uomini si è portato appresso la morte del tempo.
Ormai, qui, più nessuno ha il naso per rubare all'aria il profumo dell'erba che ora marcisce nei campi.
Nessuna mano si piega, pietosa, a carezzare i petali vellutati che i fiori hanno perduto.
Anche le ombre delle chiome degli alberi altro più non sono che nere forme schiacciate sul selciato consunto.
Non sanno più offrire riparo agli uomini dai raggi del sole.
Fantasmi.
Fantasmi, ormai, si trascinano per i deserti sentieri.
Fantasmi che hanno perduto ogni memoria.
La vita, la vita stessa è diventata una enorme, smisurata, finzione.
Nel campo, ii lunghi viali si sono intrecciati con i freddi, infiniti chilometri  binari tracciati sulla nuda terra da algidi denti d'acciaio.
Le facciate delle baracche sono tappezzerie consumate su cui si parono ciechi occhi rettangolari.
Gli slarghi, gli incroci, i cortili, nascondono solo cupi gorghi e vortici insaziabili.
Hanno denti marci, quelle nere bocche impudìche.
Erano portoni, finestre, ingressi.
E ora sono bocche mostruose, spalancate, che vomitano orrore verso il piatto nulla del cielo di marmo grigio che piange solitario.
Nulla si è salvato dall'invasione dei fantasmi.
Nulla!
Io v'invito a guardarli bene.
Si.
Dovete guardarli bene, questi fantasmi.
Dovete imprimervi bene nella memoria come sono fatti i fantasmi, queste ombre che un giorno furono uomini.
Ed io, che ero un uomo, ora sono uno di loro.
Dovete strizzare bene gli occhi.
Dovete osservare con tutta l'attenzione di cui siete ancora capaci, voi, uomini, se, ancora, un pò d'umanità e restata dentro di voi.
Dovete scrutare negli anfratti più nascosti, dei vostri cuori.
Dovete superare il pudore.
Dovete combattere la paura.
Dovete mettere in conto l'orrore, che vi attanaglierà lo stomaco, mentre ancora state guardando.
E non dovete distogliere lo sguardo.
E dopo che avrete visto, dovrete impugnare gli occhi come pugnali.
E piantarli come coltelli.
Dovrete affondarli in quella cavità che ha inghiottito milioni di cuori di bestie, che un giorno furono uomini.
Uomini.
Proprio come voi.
Forme disumane.
Sono rimaste in quei capanni che il tempo non voluto inghiottire.
Fantasmi.
Non fatevi lasciare ingannare dalle apparenze.
Sembrano uomini.
Sembrano vivere vite proprio uguali alle vostre.
Ma sono fantasmi.
Vite fantasme.
Per questo dovrete imparare a diffidare di tutto.
Non vi potrete più fidare di niente.
Neanche di ciò che vi sembrerà di vedere davvero.
Neanche di voi stessi e neanche dell'immagine che riflettete passando davanti a uno specchio.
Quella potrebbe presto prendere vita.
E allungare le sue torve mani artigliate per strangolarvi.
Anzi.
Forse nascono proprio di là.
Sono proprio gli specchi madri snaturate che danno vita a queste creature snaturate d'un oltremondo crudele.
Le madri dovranno diffidare dei propri figli.
I figli dei padri.
Gli amanti dell'amato amore.
I cuori, qui dentro, dovranno paventare ogni speranza.
Dovrete vivere diffidando.
Dovrete cercare la vita dubitando.
Dovrete continuare a vivere scacciando ogni certezza.
Fantasmi.
Solo fantasmi abitano dietro questo filo spinato.

8 commenti:

  1. Giorni fa su uno dei blog che frequento ho trovato questo post http://theurgetowander.com/2013/05/09/why/
    l'autrice si chiede Perchè? anch'io continuo a chiedermelo non trovando qualcosa che giustifichi il crimine umano.

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  2. La foto che hai messo col filo spinato, era ad una mostra anni fa, l'artista vi aveva messo una rosa rossa, il resto era in bianco e nero, proprio come la tua.
    Non c'è niente da dire, il silenzio urla, come alle foto è giusto che manchi il colore.
    Siamo mostri, tutti anche chi si crede buono, chissà cosa alberga in noi.

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  3. Fa vennre i brividi questo post, queste parole spezzano il cuore......sono fantasmi ma quanto pesano ancora sulle coscienze!

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  4. Caro Paolo,
    perchè non lo sapremo mai.
    O meglio.
    Forse la risposta è più semplice di quanto si creda.
    Perchè l'uomo è impastato di bene e di male.
    Tanto bene per tanto male.
    Per denaro, potere, supremazia, si uccide, si annienta, si distrugge.
    Alle volte non serve neanche una ragione, è solo il gusto di provare il piacere che può dare il dolore agli altri.
    Altre volte il sacrificio di una vita riscatta la barbarie che nessuno osa condannare.
    In fondo, proprio in questi campi, Auschwitz, per esempio, ma in tutti gli altri, si sono compiute azioni che rasentano i limiti estremi dell'animo umano.
    Alla impudica e volgare mattanza si devono porre, come contraltare, quelle miriadi di piccoli o grandi gesti, quei doni che a volte diventavano sacrificio assoluto, e che nessuno conosce veramente, ma che si raccontano, nei film, nei libri, nelle memorie di chi ha vissuto in quei campi, che non sono noti e non compensano in alcun modo la tremenda e disumana barbarie... madri, padri, figli, estranei sconosciuti hanno compiuto quei gesti senza un vero perchè. Sai anche tu di cosa parlo. Prendo, solo come esempio, La vita è bella, di Benigni.

    Ecco, siamo fatti di questo.
    Dell'una cosa e dell'altra.
    Del Male.
    E del Bene.

    Un abbraccio, Popof.

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  5. Si, Paolè,
    non c'è colore, in queste foto.
    E questo rende un poco "fantastiche" le immagini di questo museo a cielo aperto.
    I colori reali sono più banali del bianco e nero.
    Le case rossicce, le strade acciottolate con i bordi fioriti, gli alberi verdi, i fiori colorati che vivono indifferenti le loro vite in questo luogo di morte, ecco, quello, in qualche modo è il colore reale della banalità del male, come lo chiama Hannah Arendt (anche se lui forse diceva cose diverse, io uso solo la sua definizione).
    Ecco, in questo senso il bianco e nero spettacolarizza le foto, e quindi spettacolarizza anche il museo e il male che si è compiuto lì.
    Lo dico con una punta di critica verso me stesso e le foto.

    Ma, devo dire, ho girato in bianco e nero le foto, quasi tutte, qualcuna l'ho lasciata com'era, l'ho fatto perchè nel colore sentivo anche una specie di impudicizia.
    Tutto quel male non me la sentivo di raccontarlo proprio così com'è stato. Crudo, duro, ingiustificato e ingiustificabile.
    Gli alberi che guardavano quelle scene, alberi testimoni viventi ancora della mattanza, non possono conservare il verde allegro della primavera. I fiori che si nutrono delle ceneri di milioni di innocenti non possono conservare i loro colori mordenti così impunemente.
    Io ho sentito il bisogno di nascondere un poco questa vergogna della Natura, che rende i mattoni dolcemente sanguigni, l'aria ovattata, i prati rilassati come corpi dopo l'amore.
    Ma lo so.
    La Natura ha ragione.
    Siamo noi umani che abbiamo bisogno di nasconderci, a volte, per non guardare fino in fondo la profondità di questo male.

    Un abbraccio,
    Piero

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  6. Cara Nonna,
    che dire?
    I brividi sono veri.
    Come tutto ciò che c'è e c'è stato lì.

    Mi sono posto il problema se fare o pubblicare le foto.
    Questo museo non è un luogo d'arte.
    ma di morte.

    Mentre stavamo facendo la visita, ho parlato con una signora che era nel gruppo e che mi ha detto: "Ma come è possibile dimenticare?" "Si deve far vedere, parlare, conservare la memoria di quello che è successo".
    Ecco, come se avessi cercato da lei una giustificazione.
    E così ho deciso di divulgare le foto.
    Ne sto facendo anche un video.
    Poi lo pubblicherò.

    Un abbraccio,
    Piero

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  7. Patrizia Milinovich
    15:37
    1
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    Non sono mai stata in questo luogo e il tuo post mi consente di entrare, attraverso le immagini e attraverso le parole, nel male che alberga dentro ognuno di noi. Qui esploso all'ennesima potenza, come tante altre volte è successo e succede. E' come toccarlo con mano nella sua ruvidezza, nella sua glaciale certezza di esistenza in quanto noi esistiamo. Credo sia un'esperienza che ti cambia dentro, visitare un luogo come questo, vedere, toccare e respirare quell'aria, camminare su quei passi.
    Oh no, le immagini dovevi divulgarle...nulla deve rimanere nascosto, perchè allora si sarebbero dovuti cancellare anche i luoghi e spegnere le voci di quelli che invece hanno raccontato. No amico caro, queste immagini sono importanti, splendide...sì splendide... perchè raccontano la memoria di persone,di volti, di nomi e raccontano di qualcosa di mostruoso che deve farci comprendere come siamo. Raccontano tutto con la tua sensibilità, quella che ti ha permesso di vedere il tutto con grande pudore, rispetto, e consapevolezza. No, non è spettacolarizzazione, è coscienza morale...è tutta un'altra cosa....
    Grazie
    Un abbraccio

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  8. pietro d. perrone
    15:57
    1
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    Cara Patrizia,
    si tratta certamente di una visita speciale.
    Quando si varca quel cancello per entrare sei certo di uscire, e questo cambia la prospettiva con cui quel posto fu costruito, perchè fu fatto per non fare uscire più altro che cenere.
    Non l'ho ancora finito di elaborare, questo viaggio nella/della memoria.
    So, amica mia, che si sono intrecciati fili inestricabili.
    Berlino, Hiroshima, Auschwitz...
    Il male ha assunto nel tempo, nei secoli, forme diverse.
    E la guerra ne è la rappresentazione più mostruosa.
    Ma quello che è successo nel secolo scorso è terribile oltre ogni misura.
    Per tante ragioni.
    Anche perchè, ormai, si poteva pensare che la civiltà, il progresso, l'evoluzione dell'uomo si fossero compiute.
    E invece?
    Le forme più disumane di strage dovevano ancora compiersi.
    E ne possiamo vedere le tracce con i nostri occhi.
    Ecco, lì, mentre giravo in quei viottoli, in quel museo della morte, mi si sono intrecciate le cose.
    Devo capire bene, ancora, Patrizia mia.
    Ma non è più tale e quale a prima.
    Qualcosa devo fare per dare vita a quelle immagini.
    Ci devo pensare.
    E se tu vuoi, se hai delle idee, sei benvenuta.
    Lavora con me.
    Anche solo pensando con me.

    Un abbraccio,
    Piero

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