29 lug 2013

DIARIO DEL PASSAGGIO DI UNA FLOTTA DI GALEE

photo by pierperrone


Che grande flotta sta passando nel mare giallo!
Fiamme mandano riflessi nel cielo, fiamme d'incendi su terre lontane.
Riflessi d'arancio, di giallo, d'indefinita pallore elettrico.
Si propaga rimbalzando sulla superficie acquorea mentre la stazza panciuta dei naviri passa agile con le ali spiegate al vento, volando verso orizzonti infiniti.
Vedo accavallarsi le vele gonfie come nuvole grigie, grasse, gravide d'umore intenso, di odori acri e salmastri.
Si stagliano grosse, alcune.
Fra plancia del galeone e velatura scompare, a volte, cielo, ingoiato da quella densa massa galoppante.
Altri fiocchi sono più leggeri, sfilacciati, agili.
Si rincorrono, come uccelli leggeri, questi che vagano nello spazio infinito.
Mentre quelle gravi di pioggia, madide di sale, gonfie d'acqua spadroneggiano tronfie come volessero impedire alle correnti di correre libere per l'immensità del creato.

L'incendio che è divampato, laggiù, qualcuno lo sta domando, piano.
Lentamente una mano coraggiosa sta convincendo le vampe indemoniate di lasciare questa povera terra.
Piano si abbassa il riflesso sull'orizzonte.
E vedo le vele, leggere come nuvole, correre il mare infinito del cielo.
Non v'è spazio, differenza, limitie.
Il mare ed il cielo, stasera, sono una cosa sola.
Come l'uomo e la natura.
Nel cielo crepuscolare brillano i primi astri prepotenti.
Li vedo come luci che attraversano gli strappi nella velatura.
Fiotta sangue che ha il candore dei raggi delle stelle.
Poi, la corrente che soffia impetuosa si porta via l'alberatura.
Il sartiame fischia, sulla tolda della mia galea che attraversa gli abissi del fantastico oceano del cielo.
Sento rombare, lontani, gli echi dei motori.
Saranno i motori delle motonavi che sono quasi giunte al porto, laggiù.
Oppure sono rombi di cannoni, che rotolando fin quassù si sono divertiti a prendermi in giro.
Cannoni che tuonano di lungi.

Ora la flotta è diventata una colonna di fumo.
Viaggia orizzontale, paralleamente all'orizzonte.
Spinta, bassa, dal vento sstenuto e umido di pioggia.
Non ci sono uccelli a solcare il cielo, stesera.
Lontano qualche finestra lontana.
Forse oblò retangolari di qualche fantastico battello a vapore.
Immagino le ciminiere che giocano a chi sputa più in alto.
Gli sbuffi di fumo sono come palloni irregolari, lievi e giocondi.
... Oh, ma se fossero fumi d'incendi lontani, quanta paura farebbero al cuore!
E invece, su questo mare della notte che è sceso sullo scenario del mondo, sono sbuffi giocosi.
Sospinti dal gemito dei cordami che vengono tesi allo spasimo dal soffio di stanchi monsoni ammansiti.
Hanno già sgravato la loro pioggia malata.
Lontano, sugli orienti inondati, sui poveri cristi che si riparano sotto sconosciuti alberi abitati da antichi dei contadini.
Da noi portano solo il ricordo degli scrosci pesanti, delle raffiche esplose migliaia di miglia laggiù, ad est, come mitragliatrici che sparano pallottole d'acqua.
Arriva da noi l'umidore dell'aria pesante.
Odore di bagnato.
Cupezza del cielo che si tinge del colore del mare notturno, senza riflessi, chiuso, densa pece oleosa.

Le colonne di fumo son diventate nuvoloni che passano lenti.
L'incendio, là, dietro la linea dell'orizzonte, s'è spento del tutto.
Il mare, nel cielo, s'è fatto d'un azzurro cinerino, opaco, stasera.
Ad ovest, dove si gonfia il mare di Roma, stasera non c'è la festa degli allegri colori.
Un presagio triste di qualche peccato da dovere ancora scontare.
La cupola di S. Pietro è indifferente, cieca, un pò presuntuosa nella sua fantastica mole rotonda a tamburo gonfio di altera vanità dominatrice.
Quella del Pantheon, invece, scruta severa, con il suo muto occhio curioso, il nero cielo mosso dai cavalloni agitati che percorrono il cielo.
Loro, i vecchi dei pazienti, memori d'antiche origini terragne, non conoscono il peccato, la colpa, l'espiazione.
Per loro, la mancanza è mancanza.
Oltraggio, l'oltraggio.
La punizione, giusta vendetta.
Il cielo gonfio di presagi parla ad ognuno la sua lingua.
Ognuno la comprende come sa.
A qualcuno la bassa nuvolaglia livida di notte sembrerà il rimbrotto d'un dio arcano e vendicativo.
Ad altri il segno di un giudizio che domani colpirà con la sua fatale intransigente giustizia.
S'odono echi lontani d'implorazione.
Richieste di sfacciata innocenza, di empio perdono, di diabolico traffico d'anime.
Altre voci imploran perdono, pietà, remissione, indulgenza...
Ma lui, il mare, nel cielo sa parlare la sua lingua universale.
Siamo noi, semmai che non siamo buoni a capire.

Ora l'oceano s'è fatto abisso notturno.
Le vele sono diventate invisibili, forse tinte di nera fuliggine opaca.
O sono fuggite lontano.
Forse si sono invaghite d'un muscoloso monsone gentile e sono scappate in cerca d'amore.
Le colonne di sumo sono svanite, come gli sbuffi dei vecchi treni a vapore.
Anche il rombo lontano dei tuoni s'è fatto silenzio, 
Come le locomotive rombanti che dopo aver violato il silenzio, s'ingentiliscono facendosi piccole piccole inseguendo il binario che corre lontano e, infine, sparire, svanire, scomparire, sfumare, disfarsi, dissolversi, farsi niente dal niente che erano prima di essere state rombo che ha squassato il il silenzio dietro i vetri delle finestre tremolanti e impaurite...
Adesso dobbiamo confessarci.
Il mantello della notte ci mette di fronte alla dimensione della nostra fragilità.
Siamo come quei rombi di tuono, come quelle colonne di fumo, quelle vele fatte di nuvole grigie gonfie d'acqua e d'aria pesante.
Quando giunge la sera accade il miracolo della nostra piccola morte apparente.
Ci troviamo di fronte alla nostra fragilità.
Chi ci assicura che domattina ci sveglieremo e tuttò sarà restato come l'abbiamo lasciato?
Potrebbero accadere inaspettate rivoluzione, mutamenti imprevedibili nell'ordine delle cose, nelle leggi della natura.
In fondo, in quelle lunghe ore della nostra piccola morte abbiamo deposto le armi e ci siamo mostrati fragili e nudi.

Domattina il cielo sarà azzurro splendente.
Sta passando lo spazzino notturno.
Ha già accumulato le nere nubi che minacciavano pioggia tutte d'un fianco della via lattea argentata.
Fra poco passerà la raccolta differenziata.
La discarica dei cumulinenbi sta molto lontano, quando è estate quaggiù.
Il cielo però è ancora privo delle luci notturne.
Gli astri si sono forse messi a dormire?
La piccola morte riguarda anche loro?
Sono dei stanchi che hanno necessità d'un pur breve riposo?
E i marinai che governavano le vele dei bastimenti che volteggiavano presuntuosi nel cielo fino a pocanzi?
Che fine hanno fatto?
A dormire anche loro?
E le vele?
E le correnti marine che spazzano il cielo?

Ecco, ecco, un soffio s'è fatto ancora sentire.
Come volesse lasciare un saluto.
Un bacetto, qua, sulla guancia.
M'è rimasta sulla pelle l'umida frescura di questa sera che s'è tinta d'autunno.
Ho visto anche un bagliore lontano.
Laggiù.
Verso est.
Forse sta ancora bruciando la storia, dietro l'orizzonte nascosto dai grandi bastioni urbani squadrati.
Forse dobbiamo andare a vedere.
Su, forza.
Un piccolo salto.
Ecco.
Qua, sulla tolda della galea.
Ora c'è bonaccia, sull'infinito mare nero del cielo.
Ma domani saettanti correnti ci porteranno lontano...

4 commenti:

  1. Quante cose si possono vedere nel cielo di Roma...
    quante storie, immagini...come galoppa la fantasia, quando lo sguardo s'immerge in un cielo che inquieto. Ecco, allora tutto è possibile e le nuvole diventano mille cose e il cielo diventa mare. Nascono allora i pensieri strani che riconducono alla nostra sempre inquieta vita, sempre in bilico tra luce ed ombra, sempre in movimento che ricomincia ogni giorno, Mi par di vederli amico mio, quei tuoi occhi rivolti al nuovo giorno, con il cuore pieno di sogni e di speranze.
    Un abbraccio

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  2. Beh, tu pensa che ieri sera mi ci sono perso nel cielo di roma.
    ci ho passato tutta la serata a guardare l'arancione che si è fatto nero.
    e poi le luci delle stelle, poche nel lucore metropolitano che appanna la notte.
    Ho preso il telefonino e con una bellissima applicazione che mappa il cielo mi sono messo a guardare Marte e Giove e Saturno e i quattro punti cardinali...
    Si, lo so.
    Non dirmelo.
    Mi sono perduto.
    Si, dico io.
    Ma è così bello!

    Un abbraccio,
    Piero

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  3. ombreflessuose5:43 PM

    Ci perdiamo negli abissi dei nostri cieli, cavalcando fantasie mai dome.
    Galee, Astronavi, Velieri incancellabili delle nostre anime
    incantata dalle tue magnifiche emozioni
    Abbraccione
    Mistral

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  4. mi piace che i cieli siano un multiplo dell'infinito.
    Di primo acchito direi che il cielo è uno solo per tutti, anche se è un infinito sterminato.
    Ma tu hai colto meglio nel segno: gli infiniti, per chi ha usa gli occhi dell'anima, sono molteplici, e quindi un cielo solo per tutti pure non basta.
    Ognuno di quei cieli ospita le nostre fantasie, le nostre speranze, i nostri voli, i nostri viaggi senza fine... e così, abbiamo possibilità di proiettarci verso i sogni che non conoscono i limiti delle leggi di natura o della matematica...

    Solo, una cosa, mi resta meno chiara: ma se in un cielo solo siamo tutti viaggiatori di un'immenso transatlantico che ha solo cabine di prima classe e nessuno resta a piedi, se non lo desidera, cosa succede quando i cieli si moltiplicano?

    Un abbraccio,
    Piero

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