6 lug 2013

IL CORPO DI MARIA

Sergio MICHILINI - Ritratto di bambina (bozzetto) 1994
http://www3.varesenews.it/blog/labottegadelpittore/?attachment_id=9519

Gravida che fu, Maria s'era fatta più bella.
S'era trasformata in un angelo, in una dea, desiderabile e nobile, in una madonna dalla sensualità che nutre l'amore nel grembo.
Era stata una bambina, prima di conoscere l'amore.
Poi, una notte, tra le braccia del suo messaggero celeste, tremante e trasognata, aveva sperimentato i batticuore dell'amore.
S'era agitata per lo spavento e lo sgomento dell'intrusione di qualcosa di sconosciuto nella sua giovane vita di bimba.
Un intruso.
Un imprevisto.
Un palpito.
E poi, il desiderio.
E la lotta.
Infine, la disobbedienza.
E l'abbandono.
Il peccato.
Dolce e soave.
E, dopo, quando tutto, alla fine, era infine finito, aveva indossato il velo di nuda purezza della pace spossata.
L'abito più bello.
Il suo corpo di donna.
Di fianco al suo alato amante dormiente e incosciente.

Era stata un fiore, prima di concedersi interamente all'amore.
Petali morbidi e innocenti.
Miele di delicata fragranza.
Innocenza e fantasie sognanti.
Colto che fu, il fiore divenne corpo di donna.
Carnosa bellezza.
Appetito.
Trasporto.
Sazio abbandono.
L'amore adulto aveva reso quel profumato germoglio ancora più bello.
Gli aveva infuso la vita.
La vita, che si nasconde dentro al peccato.
Il suo femminile universo, ora, finalmente, rifulgeva d'iride, di prorompente luce di divina bellezza.
Una stella.
Un astro lucente, un nuovo oggetto celeste, cominciava a brillare nella profondità del suo cosmo di donna.

Nei suoi occhi brillava, adesso una nuova luce incantata.
Il suo sguardo irradiava raggi di vita.
Raggi come i raggi d'un inesauribile sole.
Si rischiarava, ora, l'ombra del mondo, sorrideva, alla dolce carezza del suo gravido sguardo di donna fatale.
Sapeva cosa voleva dire, ormai, esser diventata femminea abbondanza del cosmo, generosa dispensatrice di vita, elargitrice del dono più bello e prezioso.
Per mezzo del suo misterioso corpo di donna si propagava, ancora, impudìco, l'eterno, immane, miracolo che si compie nelle profondità uterine del grembo d'ogni fertile femmina.
Aveva perduto per sempre quella cosa, la spensieratezza innocente, l'illusione d'un infantile sogno perenne, stringendosi stretta alle membra della sua creatura discesa dal cielo.
Aveva tremato e, stremata, infine, aveva domato l'effimera spada di fuoco del suo messaggero divino.
Non ricordava quasi più l'inconsapevole e spontanea innocenza sfrontata dei bimbi.
Ormai, aveva imparato ad usare le dolci armi del corpo.

I giorni passavano dolci, lieti e felici, sul suo levigato ventre di bimba.
Erano uccellini che portavan nutrimento alla consimil creatura che covava nel tiepido uovo. 
Lasciavan sulla porta un semino, deponevano un bacio, lanciavano striduli canti, al cielo, pieni di gioia.
E cresceva, quella vita, come cresceva quel corpo di donna.
E, crescendo, facendosi donna, dapprima, e poi, cominciando a conoscer le ansie di madre, aveva anche incominciato a conoscere il mistero che si cela nella vasta ed oscura prigione del cuore.
Il volto, già bello fin dall'inizio, sfinato e sottile stelo di bimba, diventava, ora, a momenti, spinoso arbusto di rorida rosa, prena di pene e d'amore.
All'odore, al sapor sensuale di baci e carezze, si sovrapponeva, a momenti che si facevan sempre più fitti, l'aspro gusto d'angoscia che porta con sè l'ignoto d'una vita che sta maturando nel grembo.
Stava ancora prendendo, il suo corpo di carne, le fattezze di mamma.
E già il suo cuore si stava allargando.
Si stavano aprendo, poco per volta, in quell'inesplorata miniera d'amore, caverne profonde, sprofondi ed abissi, abitati da sconosciuti mostri senza pietà. 
La sua gemma ancora le cresceva nel grembo e già lei cominciava, fremente, ad immaginarsi il frutto del suo ramo farsi maturo, e poi, agitarsi alle tempeste del tempo, tremare, incespicare, per essere, infine, colto dall'arrogante mano del signore che le aveva inviato, una notte, un alato messaggero divino.

Ogni mamma ha una ruga sulla fronte.
Una ruga per ogni figlio che l'è cresciuto nel ventre.
Puoi contarle, quando ti trovi di fronte ad una mamma.
Una.
Un figlio.
Una, due..
E tre...
Forse quei figli vanno, ora, ancora, soli, girovaghi, per le strade del mondo.
Oppure hanno avuto brevi tragitti.
Solo, per qualcuno, un abbozzo male riuscito.
Ma puoi vederlo sempre, quel segno, inciso, profondo, al centro della fronte d'ogni mamma del mondo.
S'incide, lieve, all'inizio, quel segno.
Solo un esile filo.
Un profilo.
Un nome.
Una speranza.
Poi si fa sogno, desiderio, lotta.
E sprofonda, quel segno, nelle carni sottili del bel volto di donna.
Ogni giorno di più.
E' il segno che quella donna conosce l'amore.
E, con l'amore, l'angoscia e il dolore.

Anche l'angelo, dopo la sua vibrante fiammata, cominciò, piano, a viver la sua sorte, qua, sulla terra.
Mutò il suo nome.
Fu costretto.
Gabriele.
Michele.
Angelo.
Arcangelo.
Mille nomi diversi.
Man mano che il bocciolo di rosa cresceva sul ramo odoroso di spini, lui incominciava a conoscer le pene della vita quaggiù.
Maria aveva bisogno di questo, e di quello, una casa, un fuoco d'inverno, del pane, il latte, lenticchie e fagioli.
Patate e odorosi grassi da bruciar sull'atare di un dio caprizzioso.
E lui, povero angelo fattosi uomo, incominciò a conoscer le fatiche dell'umano destino terreno.
Quando il fiore, infin fu maturo, e Maria sgravò, strillando al cielo, come fanno tutte le donne, il suo urlo che spaventa a morte e fa fuggire la morte, Angelo prese il nome, finalmente, d'un falegname povero e vecchio, morto pochi giorni più in là.
Giuseppe.
Ecco.
Questo, fu il nome, infine, del nuovo schiavo sceso, qui, sulla terra.

4 commenti:

  1. Molto bello e pieno di poesia e di bellezza...FELICIDADES

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    1. Gentilissimo Sergio,
      ti ringrazio.
      A presto.
      Pierperrone

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  2. La parte più bella di questo racconto è, secondo me, la poesia alla madre. Racchiude tutto il senso della maternità, dell'esser madre. io non lo sono ma come tutti sono figlia, e in questi versi rivedo il volto di mia madre. E il volto di altre madri conosciute.
    Il racconto in sè, mi sembra quasi un tentativo di dare risposta a questo evento che la religione racconta in un determinato modo, innestando qualcosa di diverso. Qualcosa che ricorda altri miti. Quest'angelo che diventa uomo per punizione, per castigo? Un po' come il povero Giuda, costretto a fare qualcosa deciso da altri e poi condnnato allo spregio eterno?
    Mi viene da pensare: ma come? Non si è sempre detto che il dio ha dotato l'uomo del libero arbitrio, dell'autonomia di scelta?...
    Non so perchè, ma questo tuo racconto, mi dà a tratti, sensazioni fastidiose. Non fraintendermi, comprendi, ti prego, quello che sto dicendo... Sensazioni strane, quasi di rabbia,verso queste figure in qualche modo costrette ad azioni che loro stessi non hanno deciso.
    Sono sfumature, come delle piccole scosse di ribellione.
    Mi appaiono come due figure con mani e piedi legate a dei fili.
    Soprattutto Maria m'appare così, nella pur bella descrizione del suo passaggio da bambina e donna. C'è qualcosa lì...qualcosa che non mi torna...
    Voglio sottolieare che il racconto è molto bello e che le mie considerazioni probabilmente, hanno sforato, come al solito, considerando aspetti che esulano dal tuo intento. Per questo spero mi perdonerai...
    Un caro abbraccio

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  3. Carissima Patrizia,
    le tue sensazioni non sforano mai, anzi, per me sono una coscienza che parla. Sincera. Libera. Fraterna.
    Non so se dire "mi dispiace" oppure qualcos'altro.
    No, per essere più preciso è che ho l'impressione che nella tua lettura hai colto un aspetto, diciamo così, letterale, della storia.
    Nel tuo sentire, Maria e l'Angelo restano i personaggi che conosciamo dalle storie evangeliche, religiose, che ci vengono tramandate dal catechismo e dalla nostra cultura cristiana.

    Il mio racconto, invece, è mio.
    Nel senso che, certo, ho rubato ai vangeli i personaggi e, certo, anche lo svolgimento, finora, della storia.
    Ma il racconto è quello del Vangelo II (secondo) P.
    Cioè secondo me.
    Io, che non sono certo un "chierico".

    Ho visto che nelle "etichette" ho dimenticato di indicare a quale categoria appartiene il racconto.
    Ma resta legato ai racconti di questi ultimi giorni.
    In questo "Vangelo" vorrei provare a scrivere la storia di quei personaggi, così rilevanti, metafisici, divini, fuori dal percepire umano delle emozoni.
    Dei, statue, personaggi, appunto, che nei vangeli e nelle storie successive sono restatati sepolti sotto una coltre di gesso che li ha bloccati, paralizzati, costretti ad accettare senza vivere cose e fatti davvero fuori da ogni portata umana.
    Ma erano pur uomini e donne.
    Ed hanno vissuto da uomini e donne.
    Con i sentimenti, belli e brutti, che il cuore umano conosce.
    E, nelle loro storie, per me, altro non c'è che il cuore dentro/sotto il corpo umano.

    Se riuscissi a raccontare questo vangelo, tutto, come lo sento io, sarebbe certamente blasfemo, eretico, irreligioso.
    Ma non voglio essere niente di tutto ciò.
    Io sono un essere umano.
    E anche loro, questi personaggi sono stati, se è vera la storia che si portano addosso (storia, nel senso culturale, di testimonianza scritta dell'accaduto, qyuindi Storia), uomini, e donne.

    E gli angeli?

    Ecco, questo racconto, in realtà, finisce con l'angelo che alla fine è diventato uomo.
    Anche nel racconto dell'angelo di un paio di giorni fa, c'era l'angelo che si perdeva con la bimba.
    Maria, la bimba forse era la stessa Maria, era una bimba appena sbocciata in fiore.
    Questo dice la storia.
    Allora, 2000 anni fa.
    E ancora oggi, laggiù, le donne divengono mogli prestissimo, appena il corpo di bimba si fa donna.
    E' per questo, non per prurito guardone, che io parlo di una bambina che conquista il sentire di donna.
    Ed è per raccontare questa storia di uomini, donne, angeli in cerca di una natura perfetta - che perfetta, per ora, fino a prova contraria, resta solo la nostra, quella umana, per quanto imperfetta essa sia (perchè perfetta sta, qui, per perfettamente compiuta) - ecco è per questo che voglio andare in un campo così pericoloso.
    Non so se ci riuscirò.

    Sai che scrivo per puro diletto.
    Ma quel diletto mi serve per capire, scoprire, esplorare.
    Scrivere è questo.
    Trarre fuori dal nulla, dar vita, creare...

    Vedi?
    Stamattina sono in preda ad un delirio di onnipotenza!

    (Io ti offro le mie considerazioni.
    Le tue mi sono carissime.
    Le mie sono sincere quanto le tue).

    Un bacio,
    Piero

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