18 lug 2013

MARLON

Photo by Pierperrone


Marlon, così si fa chiamare dagli amici al tavolo, al bar
Non sempre è allegro, vivace, frizzante, gioviale, scherzoso, sorridente, sereno...
Non sempre.
Alle volte una linea gli attraversa la fronte.
Come una strada deserta.
Sembra solo un segno superficiale, un tratto lieve e leggero sulla pelle liscia che si stende sotto la capigliatura lucida e chiara.
Ma è solo perchè lui non è ancora un uomo fatto.
E' poco più di un ragazzo.
E sulla fronte di un giovane uomo, le linee dei pensieri si mostrano poco.
Quasi temono di spaventare un'esistenza che sta maturando lentamente.
Forse, chissà, azzardo un motivo, certe linee sono così caute, come se si tenessero nascoste, come se, acquattate, in sordina, stessero, tese, tendendo un agguato alla vita ancora acerba.
Forse sono così vili, forse sono davvero vigliacche, forse, lo fanno, perchè, sono ancora incerte, non si sentono sicure, non hanno deciso, non vogliono dare a vedere, o, forse, solo, ancora, non sanno di poter disporre con tutta la propria forza disperata d'un corpo che potrebbe opporre resistenza, lottare, reagire con forza e vigore.
Forse le linee del pensiero temono di doversi piegare, di dover subire l'oltraggio della sconfitta, di dover girare intorno alle cose.
Lo snaturamento di una linea.
Che, invece, deve poter andare dritta per la sua strada, per poter essere una linea.
Certo, comunque non hanno pena di una fronte così, ancora innocente, pura, ingenua,
Ma forse ne temono il vigore.
E allora si mostrano poco.
Forse sanno che una giovane vita ancora non conosce bene la vita e allora, quella fronte orgogliosa e incosciente potrebbe diventare una piazza di guerra, una sacca di resistenza, una cellula ribelle, una variabile impazzita, una scheggia vagante...
Quella roccaforte, da conquistare col peso gravoso del ricatto della maturità, potrebbe essere governata dalla forza acerba e brutale dell'incoscienza, del rischio, del pericolo.
Addirittura, quella prateria incolta e selvaggia, potrebbe essere battuta dai venti indomiti dell'entusiasmo, schiaffeggiata dalle raffiche della gioia incontrollabile, colpita dallo tsunami distruttivo della pura innocenza.
E quindi, forse, pensano di dover fare più attenzione, di dover avere più cura, di muoversi con più tatto per conquistare anche quel nuovo territorio sconosciuto.
Invece, con un uomo maturo...
Ma, forse.
Chissà.
Io ho solo azzardato un motivo.
Ma forse un motivo vero non è questo.
Oppure, un motivo, nemmeno c'è.
Forse quelle leggere linee di tempesta che si stampano sulla fronte di Marlon sono solo il segno dei sogni, o, chissà, dei ricordi, o forse, i segni delle speranze, o, anche, chissà cos'altro possono mai significare quelle leggere increspature su quel giovane mare, agitato come tutti i giovani mari per non si sa bene quale strana ragione.
Non lo so.
Io non sono più un giovane uomo.

Le carte non si giocano più, la sera, al tavolo, al bar.
E neppure il flipper elettrico fa sentire più i suoi lamenti violenti, nei bar, il giorno o la sera, con le palle di piombo che sembrano luccicanti corpi celesti in rotta di collisione con gli astri del firmamento.
Neanche i biliardi, quelli col panno verde, disteso, liscio, un raso prato perfetto rinchiuso fra quattro sponde forti come dighe ed inespugnabili come mura merlate; anche quelli, non si trovano più, al bar, e devi andare a cercarli, se proprio lo vuoi, in certe sale specializzate dove bazzicano solo tipi strani che non fumano più pesanti sigarette che puzzano di tabacco bruciato, ma si tengono attaccati a piccole ciminiere elettroniche che emanano sbuffi di vapore sintetico e velenoso.
Ecco, neanche i biliardi si trovano più, al bar, la sera, e le lunghe stecche affusolate di legno, i birilli, le palle che scroccano duro se gli tiri violenti colpi diretti stanno nascoste in chissà quali ombrosi magazzini pieni di polvere, a marcire, a riempirsi di tarli, di gobbe gibbose, di ragnatele e sterco di topi.
Neanche quelli li trovi più, nei bar.
E la mattina, il giorno, la sera, non si sa più cosa tiene unito lo sparuto gruppetto di giovani fronti segnate da diritte linee leggere come sentieri appena battuti da un soffio di vita. 
Certo, non è più nemmeno il juke box, che ormai non lancia più in aria le sue note chiassose, a volte un pò tristi, o allegre, non si poteva mai prevedere, dipendeva dall'umore della gente del bar.
Al bar, nemmeno il juke box, la sera, fa sentire più la sua voce e se ne stanno tutti attaccati all'auricolare di mattoncini anneriti di plastica, abbagliati da piccoli schermi baluginanti, ipnotici, nevrastenici e nervosamente instabili.
E il bigliardino?
Il calcio balilla.
No, pure quello è sparito.
Ed anche quei vecchi giochi al bicchiere sono finiti, non si fanno più, per passare la sera e fare ubriacare qualcuno per scherzo.
Ormai ci si ubriaca per professione, per disperazione, per il vuoto che riempie il deserto di quelle fronti su cui esitano a poggiarsi quelle lievi linee d'angoscia, timorose e spaventate. 
E' diventata difficile la vita, al bar, la sera, quando il magone prende alla gola il giovane Marlon.

Una linea resta comunque sempre una linea.
Quella che attraversa la fronte di Marlon sembra passare per caso di lì.
Se guardi Marlon, seduto davanti al bar, là, sulla soglia del mondo, lo potresti scambiere per un marziano arrivato da un mondo lontano, che gira lassù, sperduto nel cielo infinito, invisibile come un punto senza spessore, ficcato chissà dove nella volta celesti.
Certo, uno così viene da un posto lontano.
Di certo, Marlon ha conosciuto un mondo diverso, viene da un altro pianeta.
Se non proprio un marziano, è forse un marinaio, un esploratore venuto da un continente lontano.
Oppure è un camionista che ha viaggiato per mille miglia al giorno, ogni giorno della sua chilometrica vita.
Uno che visto il mondo dormendo sul lettino del suo tir puzzolente.
E' sfrontata e arrogante la bellezza di Marlon.
E' la bellezza dei giovani uomini che hanno ancora la leggerezza innocente sui lineamenti del volto che ancora non si sono fatti i caratteri d'uomo.
Capelli indorati d'una tintura di seconda qualità e grandissimi occhi di cervo impaurito.
L'espressione assente, distratta, d'uno straniero che non conosce la lingua, d'uno sconosciuto capitato per caso lì a quel bar.
E, sempre per caso, quella linea, è là, sulla fronte, scivolata per chissà quale ragione.

Un linea, però, a volte, vuol dire pensieri.
Ma questo, Marlon, non può ancora avere imparato a capirlo.
Spensierato, come un giovane, che se ne sta spensierato anche quando la sua vita, che non gli è stata ancora assegnata definitivamente, gioca indecisa cola corta frangetta dei suoi capelli d'oro, unti d'una grassa brillantina maleodorante.
Ma lui si definirebbe certamente così.
Spensierato.
Anche se quella linea, lui, nemmeno la vede quando si aggiusta davanti allo specchio del bagno del treno, dove passa le ore a giocare il vecchio gioco del nascondino con una guardia ferroviaria più vecchia di lui.
Marlon, la sera, davanti a quel bar, ci passa le ore.
In attesa.
In attesa, poi, di chissà che.
Che cosa passerà mai nelle mente di Marlon, in quelle ore passate in attesa di chissà cosa possa mai accadere?
Non si può sapere.
Non si può mai sapere.
Vallo a sapere.
Tutti modi per dire che lui, Marlon, sta al mondo senza neanche sapere perché.
Anche quel bar sta sul confine del mondo senza sapere bene perchè.
Cosa vuol dire una cosa così solo Marlon lo sa.
Lui passa le ore senza neanche vedere che la vita gli passa davanti.
Lui e la sua birra, a metà, nella bottiglia che si annoia da sola, senza scambiare una parola per tutta la sera.
Passano ore, giorni, anni interi.
E' la vita a passare lenta così, a raccogliersi dentro quella bottiglia.
Eppure la vita lui la vita la beve così, attaccandosi a quella bottiglia, la sera, seduto davanti a quel bar.

6 commenti:

  1. Anonimo8:45 AM

    Purtroppo non sono in grado di poter dire con parole o frasi quanto mi sia piaciuto, perciò, anche se capisco di dare un giudizio povero nel suo contenuto, dico solo che questo racconto l'ho trovato molto bello e ben descritto. Ringrazio tutti voi, che ci date la possibilità di leggervi.

    RispondiElimina
  2. Beh, che dire, caro Anonimo?
    Grazie davvero.
    Posso chiedere chi sei?

    Piero

    RispondiElimina
  3. Concordo col commento precedente. Bel racconto, incisivo e soprattutto tenero. Ahi, ahi...lo so che tu non ami troppo questo aggettivo, ma passamelo, ti prego... Voglio dire che i tuoi racconti sono spessi molto forti, per contenuto e linguaggio, raramente ti lasci andare se non in modo sfumato a tratti di tenerezza. E' una tua prerogativa, il tuo stile e sai che mi piace. Ma qui ancora di più. Ci leggo la tenerezza del padre che sei, ecco prima di tutto questo. Nella descrizione iniziale di Marlon, il primo pezzo, non hai potuto sfuggire e quella tenerezza si sente tutta, l'apprensione per quel ragazzo, per quel che è e che sarà o potrà essere...
    Poi il discorso d'allarga ed esce fuori il ragazzo di tanti anni fa (mico poi tanti, dai...)la differenza di mondi, di ambienti, ma in fondo uguali non credi? aLtri oggetti, altri ricordi, ma la situazione è molto simile. Un ragazzo che sogna, che non sa cosa lo aspetta, che ha sogni troppo grandi...che la vita gli insegnerà a ridimensionare. Ma che non riuscirà a soffocare del tutto.
    Una frase mi ha colpito :"io non lo so. Io non sono più un giovane uomo"
    Una frase che può essere letta come un rimpianto (non sono più giovane e quindi non ricordo più. Quasi che l'età adulta sia una condanna a perdere la parte più bella o comunque più vera di sè.
    Oppure una incapacità a comprendere, che spesso noi adulti abbiamo, così come i nostri genitori l'avevano nei nostri confronti.

    Il finale mi sembra amaro, molto amaro. I giovani oggi, che cos'hanno in cui credere? Che sogni, che speranze? Il nulla...stanno lì e aspettano...
    Ciao Piero. Un abbraccio

    RispondiElimina
  4. Cara Paoletta, grazie !!!

    A presto

    Piero

    RispondiElimina
  5. Cara Patrizia,
    ma la tenerezza è un sentimento che mi piace tanto, anche se non se ne può abusare troppo. Può causare assuefazione, oppure può ingenerare negli altri una leggera tendenza all'approfittazione... (Ma sarà italiano? chissà)
    Ma credo che mi rispecchi molto, questo sentimento.
    Anche il sentimento paterno, che, come mi dici, qui si sente, passa molto.
    Sarà perchè in questo periodo l'attenzione verso mio figlio è un pò più alta, ma forse è coasì solo perchè lui sta diventando sempre più autonomo e... a noi ci diventa necessario scavarci un altro ruolo. Ma sotto sotto, invece, si resta un pò soli, un poco malinconici, anche un pò più vecchi...
    Ecco, quella frase - non sono più un giovane uomo - forse ha questo senso, se la prendi a sè stante.
    E' la constatazione che viene da un confronto fra un qualcosa che era in un modo ed un qualcos'altro che ora è diverso...

    Ma in questo racconto soprattutto mi è piaciuto raccontare.
    Non c'è troppo di reale nel personaggio.
    Ce n'è abbastanza perchè sia vivo, Marlon , vero, un vero giovane uomo che non sente la lieve linea che gli attraversa la fronte... pensieri, chissà, speranze, sogni, illusioni, noia, delusione, vuoto, esistenza che scorre, correre del tempo...
    Sono questo le sere al bar.

    Ma il segreto di questo racconto te lo svelo io, che adesso me ne sto accorgendo.
    Il segreto è il bar.
    Che il bar non è certo un luogo fisico, qui.
    Ma un luogo dell'anima, un luogo dove l'anima si perde e si sperde.
    E poi si trova e si ritrova e si rinforza e cresce più forte oppure si annichilisce e muore ...
    Il mio "bar" esistenziale è stato un viale, neanche molto lungo, a dire il vero.
    Con il suo passeggio, i suoi volti, le sue speranze, i suoi sogni... eccetera eccetera...
    E anche il biliardo, il juke box e il resto, prova a immaginarli come oggetti metafisici, per i sentimenti che facevano scaturire in noi.
    E prendi quei sentimenti.
    Sono, o possono essere, gli stessi che si provano, oggi, con gli occhi piantati dentro ad un cellulare, ad un videogame, ad un computer, o con le orecchie perforate dai lancinanti squarci di chitarre elettriche indemoniate o dai rombi inquietanti dei bassi elettronici di certe musiche house...
    E' tutto diverso, oggi, da allora, ma soltanto nelle forme, non nei contenuti interiori.
    Un oggetto vale un altro.
    Un mazzo di carte vale chissà, esattamente quanto vale lo schermo tattile di un videofonino...
    E' in quelle profondità del cuore che dobbiamo leggere se c'è diversità oppure se quelle differenze che ci sembra di vedere sono solo nostre amnesie, buchi della memoria, cecità..

    Ecco, è questo.

    La fine del racconto è triste, mi dici.
    Si, una vita come tante, un poco vuota e un poco piena.
    Ma non è una vita disperata, non è dolorosa, è molto normale, tranquilla, è la vita di tanti che oggi passeggiano con una bottiglia in mano, una mezza birra, una mezza vita, tutto dentro quella bottiglia, inseparabile come le colt dei cowboys, come i wiskies dei vecchi film americani... anche lì, in quei bicchierini mezzi pieni e mezzi vuoti si concentravano intere esistenze... anche Hemingway girava con la sua bottiglia di superalcolici sempre a metà e quando la svuotava era marcio, anche Dylan Thomas e Ginsberg avevano i loro vuoti a rendere e anche Oscar Wilde e Rimbaud avevano i loro assenzi che coloravano di verde smeraldo un'esistenza che si distillava in gocce di poesia... e che meraviglia c'era in quelle bottiglie, bicchieri, ampolle, fumi d'alcol e di codeine... per distillare capolavori d'arte assoluta così alti?

    Si, certo, Marlon forse non sa di tutto questo, ma neanche noi ne possiamo essere certi.
    Chissà, anche lui in quei fondi di bottiglia legge un futuro straordinario e forse, chissà, anche lui un giorno vorrà raccontarcelo.... e sarà anche lui un poeta perduto davanti al bar... chissà, Patrizia mia?

    Un abbraccio,
    piero

    RispondiElimina

I commenti sono graditi