18 giu 2013

FIABA DI CHI GUARDA IL CIELO

Marc CHAGALL - LA CADUTA DELL'ANGELO


Mi piace guardare il cielo.
Anche adesso, che il primo caldo soffocante dell'estate se n'è andato a riposare; tornerà domani, più inferocito che mai; anche adesso, mi piace guardare il cielo, che sta sempre lì.
Ed io, qui, sospeso nel nulla, con gli occhi fissi, mi fisso a guardare il cielo.
Il respiro dell'aria è fresco come una carezza.
E' fatto delle tue mani e mi sfiora la pelle, come un soffio d'amore, questo dolce soffio della sera, e mi bacia come mi baceresti tu mentre passeggiamo chissà dove, lassù, perduti fra quelle stelle che incominciano timide a sbocciare.
S'accende, questo cielo, della gialla fiamma che arde eterna nel cosmo, luce degli occhi di quel dio che è cosmo e creato.
E' fiamma alimentata dalla fiamma degli occhi miei, questo giallo che versa al verde e si perde in un turchino trasparente in cui si confondono i miei pensieri febbrili e inadeguati.
Come quegli sciocchi che contano i colori dell'arcobaleno, io conto le stelle che si affacciano alla volta della finestra, sospese sopra di me.
Solo per un attimo mi sembra, mentre conto, di avere davanti il numero preciso che entra nel pensiero dei filosofi.
Un numero ad una dimensione sola, esatto e definito.
Illusione di ogni geometria che s'illude di essere eterna, immobile, proprietà delle piatte figure che i geometri non sanno di aver tracciato non sul piano duro della terra, ma da qualche parte introvabile che galleggia sulla superficie mobile del mare spensierato del pensiero dei poeti.

Uno.
E' la prima stella della sera.
Stella che non sta mai ferma e tremante brilla.
Vergine, timida e innocente.
Vergine che non s'è concessa mai, ancora, l'amore della notte.
Stella vergine che vive di promesse eterne ed infinite.
Inganni!
Sguardi complici e tradimenti rivolti ad ogni cuore che batte innamorato.
Uno.
Non sta più fermo quel numero che inganna con la sua semplice illusione.
Uno, per la finezza e il portamento.
Uno, per l'apparenza.
Uno, è ciò che dovrebbe restare per sempre fisso al suo eterno posto, al centro del creato.
Ma mi confondo.
E i miei occhi ora vedono due puntini luminosi.
Due punti che occupano lo stesso posto fisso al centro del creato.
Due pulsazioni luminose, che compaiono e scompaiono, misteriose manifestazioni sovrannaturali.
E i colori di questa tela dispiegata sopra i nostri occhi, come i miei numeri vagolanti, ora cangiano mutanti, in cerca di nuova personalità.
Che il giallo volatile delle fiamme e dei canarini si tinga ora gli occhi di verde acqua marina potrebbe ancora essere accetto ai miei occhi incerti ed alla mia coscienza ebbra di certezze insignificanti.
Ma se vedo incombere le ombre su questa tavolozza ancora chiara e mi chiedo in quali colori debbo intingere la punta del pennello per tingere d'ombra la luce che scende sui miei occhi, allora mi perdo.
Mi sfuggono i concetti del chiaro e dello scuro e delle sfuggevoli sfumature che si stendono sul cielo stremato della sera.
I colori nei tubetti, vedo, restano comunque del tutto indifferenti al calare trascendente della sera, incapaci di raggiungere la materiale consistenza dell'ombra che piano sta velando il profilo delle cose che si stagliano nel cielo. In quel mare, ormai, d'ombra affondano le ombre delle cose e si perdono pianissimamente i contorni, gli spessori e le insondabili profondità della vita d'ogni giorno.

Annegata è la luce, ormai.
Ma se ne percepisce ancora l'eco, là, davanti a me, dove il mio sguardo affonda nei sogni colorati da cui affiorano altre stelle, una ad una.
Due.
E tre. 
E il mare verde-turchino che mi baciava dolcemente gli occhi coi bei riflessi cristallini ora s'è incupìto, è invecchiato d'improvviso, s'è fatto d'ebano arancione.
E in quel mare diventato malinconico ora affonda l'ocra delle case che mi guardavano di fronte.
Dita elettriche, lunghe e affusolate, danno contatto, ora, mano mano, agli elettrizzati occhi quadri che, piano piano, uno ad uno, si stanno spalancando sulle ruvide pareti degli palazzoni presuntuosi, piantati suolo, verticali, come immense tavole squadrate.
Altri, invece s'allungano orizzontali nel cielo sterminato, come immensi fogli di quaderni squadrettati.
Han perduto ogni spessore, le cose del mondo, ormai, immergendosi in questo cielo che vibra come un cristallo in cui è rimasta imprigionata una grande lucciola con la pancia colorata.
Giallo?
O arancio, ora?
O marrone che stinge, in lontananza verso il grigio orientale della sera?
Un grande globo di luce urla, ora, là, la sua presenza.
Là, laggiù, dove il cielo butta sulla destra.
Niente a che vedere con gli astri nascosti nelle viscere dell'universo che si nasconde sotto questo mantello scuro che s'è messo addosso il mondo per nascondersi.
Urla silenzioso il rombo del motore a reazione che sospinge il progresso vano dei motori.
Sopraffatto dal silenzioso vorticare dei pianeti e delle stelle, presto scompare quel globo deforme in questa perfetta immobilità di bellezza cinerina.
Immota ma senza requie.
Eterna eppure mai tanto effimera.
Allungo il dito arditamente verso il cielo che mollemente s'abbandona.
Affonda la mia carne dura d'osso e d'incredula volontà d'umana pervicacia.
S'infila nella morbida coltre d'aria che in tutto mi circonda.
M'accorgo che, attraverso la mia bocca e i polmoni e il fiato ed il respiro, sono un tutt'uno con quell'aria fresca della sera tinta di colori delicati.
E, inseguito dalla punta del mio dito irrigidito, il tutto s'apre intorno a me, l'aria, il cielo, l'intero cosmo inesplorato.
Ritraggo spaventato quel dito che stolidamente s'era prefisso di puntare l'orizzonte.
Laggiù, la linea del confine sta svanendo inesorabilmente.
Vorticosamente, tutto viaggia alla velocità pazza della luce.
Sempre un poco più in là, un poco più oltre, così è la luce che viaggia negli spazi infiniti ma colpisce indifferente i miei occhi.
Viene quel colore di stella notturna da una costellazione senza nome, da un ammasso di gas incandescenti nei quali arde la rabbia di un dio solitario e malinconico.
Viene, quest'ultimo barlume di giorno, questa crepuscolare fine del mondo del giorno, da universi infinitamente lontani, spazi nei quali anche i numeri si confondono.
Quattro e cinque.
Miliardi e miriadi.
Non v'è più differenza alcuna, oramai.
Se conto le stelle ben me ne accorgo.
E me ne accorgo se enumero le sfumature possibili di quest'ultima goccia di giallo che si confonde col nero che ad oriente si fa, per adesso, un poco più cupo, ma che, a dispetto del dolore della notte, domattina si tingerà ancora di lento arancio che svanisce nel nuovo giallo del primo mattino...
Mi piace guardare il cielo.
E così grande che mi ci perdo.
Ma non mette spavento questo sperdimento, fatto di meraviglia e dolcezza.
E' lì la nostra vera casa.
E' quello il nostro vero mondo.
Questo qui, sulla terra, è solo il guscio che portiamo sulla schiena.
Non senti il richiamo di ogni voce di madre che chiama di lassù?
Non senti che sulle labbra ti spunta dolce una muta risposta di figlio?
Abitiamo questa immensa cosa che chiamiamo cielo come gli uccelli, anche se abbiamo paura di spiccare il volo, quando vogliamo partire per andare.
Ecco, ma non la vedi questa grande rondine nera che si tuffa a capofitto giù dal tetto di quell'alto palazzo che ora respira libero nuotando nel buio come una balena nelle profonde vastità dell'oceano?
Non ha esitato neanche un attimo.
Divertendosi come un bimbo ha preso subito il volo.
E quanta sapienza c'è in quell'esperta dimostrazione d'appartenere al mondo!
Ed io resto qui, ancora, a cercar di capire.
Qui.
Nel buio che ormai s'è fatto afoso respiro affannato.
E sto con gli occhi ancora fissi nel cielo che sta ormai scomparendo sopra di me.
Aprendomi nuovi universi infiniti.
E resto meravigliosamente atterrito.
Innocente e ignorante.
Minuscolo e attonito.
Ma dentro il mio cuore s'è aperta una voragine ancora più grande di questo cielo infinito che s'è squarciato sopra di me.
In quella s'è ricoverata, tutta intera, la vita che scorre in questo universo così sconfinato.
E si fa cullare, fra le mie braccia, dal mio respiro ch'è restato fresco come quello del sole di primo mattino.

4 commenti:

  1. Eh...il cielo! Questo cielo che ci attrae come una forza misteriosa. Il nostro rapporto con lui è sempre stato intenso. Lì abbiamo posto a dimora i nostri dei, lì guardiamo quando abbiamo bisogno di volare con l'anima. Lo abbiamo sfidato, noi uccelli senz'ali e abbiamo vinto la condanna a rimanere attaccati alla terra. E lui ci innamora coi suoi colori, di giorno, di notte... ci regala i suoi gioielli che accompagnano e favoriscono i nostri pensieri. Lui ci atterrisce e lui ci accarezza.
    E noi stiamo qui, sulla terra, ma quante volte siamo lassù... nessuno ci vede, ma lui sì...
    Lui trasforma questa terra per noi e noi cerchiamo di catturarlo, senza riuscirci mai completamente. I colori nei quadri, le foto, le parole, catturano attimi, parti di lui, ma mai la totalità, mai qualcosa di definito, di immutabile, di completo...
    Ed è meglio così, deve essere così, perchè altrimenti...di cosa vivremmo? :-))


    Ciao Piero, un abbraccio

    RispondiElimina
  2. Eh, si, il cielo è nutrimento dell'anima.
    Sennò, di cosa vivremmo (parole sante, le tue!).

    Un abbraccione
    Piero

    RispondiElimina
  3. Favola che raccontiamo ogni giorno e ogni notte ai nostri occhi
    Il cielo che mai s'allontana e tradisce le nostre aspettative
    Un cielo che ama farsi colore, luce e ombra per farci sognare di ritornare bimbi con gli occhi puntati sempre sù
    Grazie, Piero
    Un caro abbraccio
    Mistral

    RispondiElimina
  4. Non per niente i miracoli li facciamo avvenire in cielo!

    Un abbraccio a te,
    Piero

    RispondiElimina

I commenti sono graditi